Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/139

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Starmi da voi disgiunto ben mi duole:
ma spero in quel Pastor, che tutti alfine
saremo di un ovil sott’altro sole.
70Sol chieggio in don, che qual di voi s’acchine
farmi grazia, ch’io sappia i nomi vostri;
servo sarògli, non che frate o affine. —
Rispose il primo lor: — I nomi npstri
non son, come del vostro ancor diceste,
75degni di fama e d’immortal’ inchiostri.
Pur di lor dirvi non per noi si reste.
Questo si è Bartol drepanese; quello
il Vigilanzio e l’agitato Oreste.
Ecco Ciprigno, Eusebio ed il Cornelio,
80tutti d’un padre tigli. Ecco Benotto
agrigentino e il suo Lisandro snello.
Quel chiamerete Egidio. E me, che sotto
agli altri mi son posto con ragione,
dite Onorato, di gradirvi ghiotto.
H5 Torno alle mandre senza il gran bastone,
che sempre fu castigatura e freno
del lupo, del litigio e del ladrone.
Or veggio andar un d’allegrezza pieno,
vii mercenar, scortese, insidioso,
90morbo agli armenti sempre e mal veleno.
Non si toglie un agnello dal lanoso
convento fuor, che subito il trafura;
poi volge altrui la colpa e fa il doglioso.
Ma sopra tutto il lusinghier ha cura
95gradir ai capi e primi delle gregge,
né il falso vi ha talor se non ventura.
Ben gli è caduto il pel; ma noi corregge
vergogna si, che il lupo cangi vezzo.
Guai dunque al pecorar che mal si regge!
100non piú averá del bel governo il prezzo.
Io il lascio qui, ché Dio per sé lo volle;
però, vita mortai, non piú t’apprezzo.