Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/140

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Aggio con la sua fonte un verde colle
e cento pecorelle. Io vado a loro,
105e con il resto a’ poveri darolle.
Poi torno a voi, ché con voi star mi moro,
sol-in servigio di Chi m’ha concesso
vederlo qui degli angeli nel coro. —
E, detto ciò, si parte, e van con esso,
110poi molti abbracciamenti, gli altri tutti;
ed io m’assido al buon Gioseppe appresso,
che a me, vedendo gli occhi non asciutti
del caro pianto della lor partita,
disse: — D’amor le lacrime son frutti! —
115Poi con l’umano aspetto suo, che invita
essa durezza intenerire e amarlo,
m’addomandò la patria, il corso e vita.
Io, vergognando assai, per contentarlo,
le cose mie, di star sepolte degne,
120non gli nascondo, e semplice ne parlo.
Poscia nel fine il prego che non sdegne
mia servitú, negata mille volte
a regni e corti di tesori pregne;
ma che, la Dio mercé, mie voglie, sciolte
125d’umani onori, ambizioni e fasti,
tutt’eran del Bambino al giogo vòlte;
che quel vorrei portar coi pensier casti ;
e che, per quanto ha car l’altrui profitto,
in tanto mio desir non mi contrasti.
130Quel mi rispose: — Figlio, tu sei scritto,
per quel che veggo, in ciel nel santo libro,
ché svèlto cosi ben ti sei d’Egitto.
Lasciato hai per Giordan il Nilo e Tibro.
lasciato hai re mortale per l’eterno:
135per che ciò che delibri, ed io delibro.
Or sia de’nostri e non piú dell’inferno;
avrai cura qui meco di Colui,
che sol dell’universo ha il gran governo. —