Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/166

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Le mille vostre offese, le mill’onte
oprar» l’ira di Lui, che ornai non paté
si duro cuor, si cervicosa fronte. —
70Tal figlio avrai, di tanta in sé bontate,
che Dio, venendo in carne e uscendo fuora,
suo precursor l’elegge, amico e frate.—
Cosi parlava il nonzio; ed in quell’ora
quegli, abbagliato da cotanti rai,
75gittasi a terra e subito l’adora.
Poi gli risponde: — Deh! come fia mai
che noi vecchi decrepiti possiamo
quel conseguir, ch’aver gioven provai? —
L’angioi si turba e dice: —Se d’Àbramo
80avessi fé, vedresti che in assenza
per lei fruttar potrebbe un secco ramo;
dove, per questa deboi tua credenza,
or sei dal giusto Giudice dannato
la lingua aver, ma di parole senza.
85Io son del trino ed unico Senato
ambasciator, che vengo e vado snello
dal cielo empireo al vostro umano stato. —
Finito ch’ebbe il rutilante augello,
per su tornarsi al Padre slarga l’ale,
90e muto lascia il santo vecchiarello.
Ei piú del ben futur che men del male
presente è lieto; né di quel divieto
di poter dir parole assai gli cale.
Fra tanto fuor del tempio stava il ceto
95de’ mascolini e muliebri sessi,
finché il santo a lor venne in vista lieto.
Ma, poi che astretto fu parlar con essi,
tutti colmò di tanta meraviglia,
che intorno a lui s’uniro folti e spessi.
100Ei rispondea con mani, volto e ciglia,
non possendo con bocca far l’ufficio:
dond’entro a quelli gran stupor bisbiglia;