Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/217

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Son ei pastor si di memoria colmi,
eh’infinite ne dicon si soave,
eh’anco da lor esser lontano duoimi.
Quando sott’ombre e quando in pietre cave,
35concordan lor zampogne a voci vive,
sebben né acuto san né tuono grave.
Suoi satiri, sue ninfe ed altre dive
son gli angeli del del, non finti e vani.
Oh misere cittá, che ne son prive!
40Muggiolar vacche in boschi e latrar cani
quant’èssi meglio udir, che in piazze e templi
qua Bartoli gracchiar, lá Pietri ispani !
Chi vuol delle virtú ritrar gli esempli,
virtú native ed entro l’uovo assunte,
45vada fra quei pastori e vi contempli,
vegga lor opre ai documenti giunte,
come son casti, sobri, puri e schietti,
e legga poesie nei faggi punte!
Giá non fuor di ragion fúr essi eletti
50d’appresentarsi al gran presepio soli
e d’ amor riportarne colmi i petti.
Non hanno di Rachel quei buon figliuoli
altro a temer in tanta lor quiete,
che lupo o ladro qualche agnello involi.
55Or dunque noi, sedendo a quelle liete
fercole, udimo al monte voce tale,
ch’obliar ne fe’ lo stimol della sete:
voce d’un angiol, creggio, in pastorale
abito apparso e postosi, s’un ramo
60solo, a cantar, d’un pino al ciel uguale.
Noi, fatti un poco a lui di quel ch’erámo
vicini e occulti piú, per non sturbarlo,
questa canzone ad ascoltar cen stiamo.
— Platani ombrosi e palme, e voi, che il tarlo
65né il tempo offende, cedri, e voi cipressi,
udite il suono che cantando io parlo!