Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/219

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Ma non però dietro ai gran saggi entráro,
ché all’uscio stati le consuete guarde:
105sol i tre re nel vile albergo andáro.
Stanno con ronche, dico, ed alebarde
in sull’entrata del tugurio basso,
che tutto dentro e fuore raggia ed arde.
Io, giunto alfine lá, piú che di passo
110giro alle spalle della nota stanza,
ov’era scuro, e per veder m’abbasso.
M’abbasso curioso, e con baldanza
non so se troppo ardita, ad un forame,
sol per veder quell’inclita raunanza.
115Veggo Madonna, posto giú lo stame,
aver sulle ginocchia tolto il Figlio,
sedendo bassa in candido velame.
Tien vereconda sempre in terra il ciglio,
e il Bambin stassi ardito e fuor di fasce
120in un farsetto del color del giglio.
Io, nondimeno, in non so ch’astio e ambasce
era mirando i re prostrati e chini
toccar il bue, tant’ei vicino pasce!
Ma sciocco me, che gli ordini divini,
125né quanto può lo Spirto, ancor sapea,
ov’egli spiri, ov’egli afflar s’acchini!
Non di tre re tal maestá potea
piegar un piè, non che gittarsi a terra,
s’entro valor di Spirto non movea.
130II buono Dio, che in quel Fantin si serra,
dramma di luce propria in quei vecchioni
al primo entrar e vista lor disserra.
Essi, che, in legge di natura buoni,
disposte avean assai le stanze interne,
135ov’entri quella e d’ombre i cuor sprigioni,
nel porger di lor occhi alle lucerne
che il Fanciullin ha sotto fronte accese,
videro un poco delle gioie eterne.