Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/44

Da Wikisource.

Peccò sol uno, e paté ogn’uom l’angoscia;
e d’esso tal peccato tant’è il peso
che sotto a quello tutto il mondo accoscia.
A che, se il mio Signor non aggio offeso
35(anzi mi spiace ch’altri mai l’offese),
dannato a morte son, non che ripreso?
Ecco, del nostro empireo almo paese
tutti, come qui veggio, siamo privi!
Queste d’un giusto re non sono imprese.
40Qual gesto è di giustizia, che nativi
sian nosco tutti i mali e in lungo esiglio
erriam per fallo altrui, mentre siam vivi?
Fu giá pur scritto per divin consiglio
nell’alme istorie ebree che mai del padre
45l’iniquitá non porterebbe il figlio.
Or dunque perché andiamo in belle squadre
dritti all’inferno, su dal ciel cacciati,
se male oprò la prima nostra madre? —
Rispose allora il vecchio: — Ahi troppo alzati.
50vi avete, o peregrino, i sensi a quelle
gonfie academie: or giú vi fian voltati !
Quant’anime circondan ossa e pelle,
e quante fin ad or l’han poste, ed anco
son per giú porle, ha Dio per sue rubelle.
55Né perciò dite ch’esso venga manco
alla giustizia sua, suo proprio oggetto,
ché piú dell’altre figlie stagli a fianco.
Ma il nostro uinan saper troppo imperfetta
è a quel divino, e sempre manco sallo
60piú che, sapendo, innalza l’intelletto.
Pur fingovi l’esempio d’un vassallo
di qualche re, che l’ama e molte volte
lo avvisa sia fedel né faccia fallo.
Un gran stato gli dona ed hagli sciolte
65Parche del suo tesoro, né mai vuole
che sue ricchezze a lui sen stien sepolte.