Pagina:Folengo, Teofilo – Opere italiane, Vol. III, 1914 – BEIC 1822407.djvu/46

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Or, dite voi, vi par forse ritroso
sia stato alla giustizia in alcun gesto
105contra il vassallo il re vittorioso?
— Si vede pur per fallo manifesto
che il traditor, temendo la sua vita,
non è a campar che fu a tradir men presto.
Qual colpa — dissi a lui — fia mai punita
no piú di quest’una sopra l’altre fella?
qual pena v’entra, salvo che infinita?
Noi priverei del regno pur, ma della
piu oscura torre il cacciarei nel fondo,
finché n’uscisse l’anima rubella.
115— Non cosi — disse — allor successe al mondo?
non cosi piacque al Re vendetta farne?
Gli tolse il regno e fu di sangue mondo.
Ma che successe poi? Di quella carne,
perfida carne, crebbene famiglia,
120gridante al cielo: — A che si maltrattarne?
Se il padre nostro abbandonò la briglia
sul precipizio e vi si ruppe il collo,
perché tal suo capriccio a noi s’appiglia?
Cosi del re si doglion; ma non puollo
125riprender legge o cosa qualsivoglia:
quel reo se stesso, non il re privollo.
Cosi di Dio non ha di che si doglia
lo stato nostro uman, se or vive servo
e in esser tal che Dio del ciel lo spoglia.
130La colpa fu pur sola del protervo
nostro parente primo, il qual non ebbe
contra si vii desio ragion e nervo.
Detto gli fu da Dio che ne morrebbe
gustando il pomo, ed egli morir vòlse,
135ché sempre in quel si vieta brama crebbe.
Qual pianta esso piantò, tal frutto colse,
e fu del padre il tanto mal governo
che in strema povertá gli eredi accolse,
privi del cielo, eredi dell’inferno. —