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CANTO XIII

Apparenzia di quattro sibille: tiburtina. ellespontica, frigia ed eritrea.
Cosi parlando il caro a Dio Palermo,
pèndola stava in alto la sibilla,
tenendo a fren quel simulato vermo.
Poi ratto a man sinistra il ciel sfavilla
5fra molti rai, cui segue un finto tuono
ed odorata pioggia fuor distilla.
Io tutto in quella parte vólto sono,
di novitá bramoso, e a capo nudo
quest’umor si soave accetto in dono,
io Di quei pastori l’arte, industria e studo
non si può dir, e dirlo vo’; ma, lasso!
a pien noi dico, e indarno stento e sudo.
Lenta venia quella rugiada abbasso,
fuor d’un nuvol d’incenso, che rimbomba
15per fuoco acceso e di profumi grasso.
Con vario suoli alfin di corno e tromba
l’aquila negra con due capi uscita,
porta fra l’ali a tergo una colomba.
Di questo altiero augel virtú infinita
20carte infinite ha di sui gesti piene,
la luna ha sotto i piè di sol vestita.
Non sdegna aver su le superbe schiene
la colomba Sibilla tiburtina,
vestita in bianco, e d’alto la mantiene.
25Cosi degli altri augei questa regina
finsesi aver portato Ganimede,
che in cielo a Giove nettare propina.
La casta donna onestamente siede
d’un augel tanto nel piumoso busto
30ed in andando un canto tal ci diede: