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104 | ii - ultime lettere di iacopo ortis |
Oh, la canzoncina di Saffo! Io vado canticchiandone l’aria scrivendo, passeggiando, leggendo: né così io vaneggiava, o Teresa, quando non mi era conteso di poterti vedere ed udire. Pazienza! undici miglia, ed eccomi a casa, e poi due miglia ancora; e poi?
Quante volte mi sarei fuggito da questo suolo, se il timore di non esser dalle mie disavventure strascinato troppo lontano da te non mi trattenesse in tanto pericolo! Qui siamo almeno sotto lo stesso cielo.
P. S. — Ricevo in questo momento tue lettere. E torna, o Lorenzo; questa è la quinta volta che tu mi tratti da innamorato: innamorato sì, e che per questo? Ho veduto di molti innamorarsi della Venere medicea, della Psiche, e perfin della luna o di qualche stella lor favorita. E tu stesso non eri talmente entusiasta di Saffo, che pretendevi di ravvisarne il ritratto nella piú bella donna che tu conoscessi, trattando di maligni e ignoranti coloro che la dipingono piccola, bruna e bruttina anzi che no?
Fuor di scherzo, io conosco d’essere un uom singolare, e stravagante fors’anche; ma dovrò perciò vergognarmi? Di che? Sono piú giorni che tu mi vuoi cacciar per la testa il grillo di arrossire; ma, con tua pace, io non so né posso né devo arrossire di cosa alcuna rispetto a Teresa, né pentirmi né dolermi...
Sta’ bene.
LETTERA XVIII
Padova...
... onde tu vedi ch’io devo drizzar gli occhi soltanto al raggio di salute, che il caso propizio mi ha presentato. Ma, ti scongiuro,