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106 ii - ultime lettere di iacopo ortis


perfino questi meschini pensieri ch’io ti vo stentatamente scrivendo fra mille cancellature. Scrissi quindi a Teresa, annunziandole il mio ritorno; e ogni ora mi pare un anno.

È vero ch’io non potrò piú riuscire un valentuomo; ma cosa c’entra questo per me, che non altro cerco sennon di peregrinare per questa valle di lagrime col meno disagio possibile? Devo forse giuocare a’ dadi la mia felicitá, arrischiando quel po’ di bene che ho, e che pure mi basta, per quel di piú che potrei soltanto sperare?

Quest’universitá è composta di molti professori, fra’ quali alcuni orgogliosi e nemici fra di loro: e v’hanno assai scolari dissipatissimi. Per mala fortuna si vorrebbero proscritti i professori C.* G.*, perché la fama aizza i persecutori e la virtú fa sospettare i governi. E tu sai che i principi vogliono gli uomini tali da non poter riuscire né eroi di virtú né incliti scellerati mai.

Le lezioni catedratiche mi fanno rinunziare alla dottrina, come rinunzierei a una fanciulla che affettasse grazie e contegno, e che per sembrare piú bella, velasse di lini sontuosi la freschezza delle sue guance e l’ingenuitá de’ suoi sguardi. O Plutarco, chi ti pareggia? L’apparato degli autori moderni non ci rende difficile la ragione e sospetta la veritá! D’altronde io credo che tutti gli uomini sieno altrettanti ciechi che viaggino al buio, alcuni de’ quali schiudono le palpebre a fatica, immaginando di distinguere piú degli altri le tenebre fra le quali denno pur camminar brancolando.

LETTERA XX

Dai colli Euganei, 8 gennaro 1798.

Perdona, ti credeva piú saggio. Il genere umano è questo branco di ciechi, che tu vedi urtarsi, spingersi, battersi, e incontrare o strascinarsi dietro l’inesorabile fatalitá. A che dunque seguire o temere ciò che ti deve succedere?

M’inganno? L’umana prudenza può rompere questa catena invisibile di casi e d’infiniti minimi accidenti, che noi chiamiamo «destino»? Sia: ma può ella per questo mettere sicuro lo sguardo