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lettera xxxv 123


illusione? — Ma se l’inganno ti nuoce? — Che monta, se il disinganno è mortale?

Una domenica intesi il parroco che sgridava i villani per lo smodato uso del vino. Egli frattanto non s’accorgeva che avvelenava a que’ meschini il conforto di addormentare nell’ebbrietá della sera le fatiche del giorno, di non sentir l’amarezza del loro pane bagnato di sudore e di lagrime, e di non pensare al rigore e alla fame che il vicino verno minaccia.

LETTERA XXXV

10 maggio.

Ti ringrazio, eterno Iddio, ti ringrazio! Tu hai dunque ritirato il tuo spirito, e Lauretta ha lasciato alla terra le sue infelicitá! Tu ascolti i gemiti che partono dalie viscere dell’anima, e mandi la morte per isciogliere dalle catene della vita le tue creature perseguitate ed afflitte. Mia cara amica! Che il tuo sepolcro beva almeno le lagrime ch’io ti offro! Le zolle, che ti nascondono, siano coperte di poca erba! Tu, vivendo, speravi da me qualche conforto: eppure non ho potuto nemmeno renderti gli ultimi uffici! Ma... ci rivedremo..., sì!

Quand’io, caro Lorenzo, mi ricordava di quella povera fanciulla, certi presentimenti mi gridavano dal cuore profondo: — Ella è morta! — Pure, se tu non me lo avessi scritto, io certo non lo avrei saputo mai: perché... e chi si cura della virtú, quand’ella è avvolta nella povertá? Spesso mi sono posto a scriverle...: m’è caduta la penna, e ho bagnato la carta di lagrime: temeva ch’ella mi raccontasse le sue sciagure e mi destasse nel cuore una corda la di cui vibrazione non sarebbe cessata sì tosto. Purtroppo! noi sfuggiamo d’intendere i mali de’ nostri amici, le loro miserie ci sono gravi, e il nostro orgoglio sdegna di porgere il conforto delle parole (sì caro agli infelici!), quando non si può unire un soccorso vero e reale. Ma... fors’ella mi annoverava fra la schiera di coloro che, ubbriacati dalla