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piú fieramente ne’ primi deliri, e, volendoli divertire con nuovi oggetti in un viaggio, esulcera con que’ medesimi oggetti la malattia d’animo, che lo riduce a morire. Ed ei dalle forze, che, com’ei dice, «poche ed estreme gli avanzano», ricava fermezza e coraggio e dignitá da prepararsi pacatamente la morte; e tutto è cagionato e mosso e continuato e variato da’ casi naturalissimi, minimi, aspettati, i quali, senza distórre il lettore dall’osservazione di quel cuore umano (che è l’unico scopo del libro), giustificano le sue mutazioni e ne fanno conoscere tutti i motivi. La catastrofe, non che volerla occultare, è manifestata sin dalle prime pagine e dal titolo del volume, e per ciò appunto lo spettatore sa che non trattasi di colpirlo, e si lascia pazientemente guidare di giorno in giorno, e d’ora in ora, ne’ laberinti dell’anima del suicida. Potrebbe essere giusta, non però è vera, la osservazione che la passione politica e l’amorosa sono dissonantissime in un romanzo; tanto piú che il mondo le vede raramente nello stesso individuo. Montaigne, che, stando sempre attentissimo al proprio cuore, ha filosofato imparzialmente sugli altri, ha creduto che le passioni politiche e le amorose regnino spesso contemporanee, ed ha particolarmente esaminato quale ceda piú presto. E vero che applicò le sue osservazioni sovra il padrone piú altero e piú forte della terra, che era sempre schiavo, e talvolta nel medesimo tempo, delle passioni politiche e delle amorose1. Però l’osservazione potrebbe essere giusta; ma non giá a’ nostri tempi, quando non v’è forse artigiano in chi le giornaliere passioni non siano fermentate da sistemi e sentimenti politici, a’ quali non manca altro che l’occasione, e si convertirebbero pur troppo in furore. E bensí canone d’arte, prescritto dalla natura, che le passioni diverse regnino in un solo individuo, a fine che, combattendo fra loro, facciano riescire tragico e vero il carattere, finché una vincendo l’altra solleciti la catastrofe. Notisi dunque che nell’Ortis il vero contrasto sta tra la «disperazione delle passioni» e «l’ingenito amor della vita»; e che gli affetti, eccitati in lui dalla giovane ch’ei desidera e che non può mai possedere, e dalla patria che ha perduto e ch’egli inutilmente anela di vendicare, somministrano appunto nuove armi alla disperazione contro il naturale orror della morte. Or, quando l’autore ha con verosimiglianza ideato o cavato dal vero il

  1. Vedi il capitolo Se l’ambizione possa piú dell’amore: e parla di Giulio Cesare.