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delle ultime lettere di iacopo ortis 137


posto mente a una veritá antichissima, veduta da tutti ed eloquentemente esposta da molti, e che qui si potrebbe esprimere forse con maggior precisione cosí: «La natura imita sempre in tutti i suoi lavori se stessa, e li distingue ad uno ad uno e li fa nuovi e mirabili per mezzo di pochissime, minime e spesso impercettibili varietá». Dove la natura imita invariabilmente se stessa, le arti sue imitatrici non possono togliere, aggiungere, variare mai nulla. Bensí maggiore pittore o poeta è colui che sorti tale anima da sentire vivamente gli effetti delle «varietá» sparse sopra gli oggetti della natura, e tale ingegno da osservarlo prontissimo, e tale giudizio da saperle applicare dove convengono. Queste tre facoltá, riunite, equilibrate, vigorosissime in uno stesso individuo, e operanti simultaneamente, non giá per industria o per forza di regole, bensì con la spontaneitá con che opera la stessa natura, par che costituiscano il genio. L’arte, imitando la creazione invariabile, coglie il vero; ma il genio coglie l’ideale, indovinando, radunando e distribuendo sopra un solo oggetto, con le stesse leggi e con la stessa spontaneitá della natura, le varietá ch’ella ha sparso sopra diversi oggetti, o che ella avrebbe potuto creare e spargere, onde rendere piú belle le opere sue. L’ideale, scompagnato dal vero, non è che o stranamente fantastico o metafisicamente raffinato; ma, senza l’ideale, ogni imitazione del vero riescirá sempre volgare, e non avrá né la grazia delle figure del Correggio, né la divina beltá della Venere de’ Medici o della Madonna dalla Seggiola, né il sublime dell’Apollo di Belvedere. L’Apollo come figura umana è tutta realmente vera; ed è insieme ideale, per una riunione, che non si può analizzare e si sente, d’infinite bellezze, che potrebbero essere state sparse (e forse le ha sparse talvolta) dalla natura sopra un solo individuo, ma che pur non si veggono mai; e il genio ha saputo o vederle, o indovinarle, e poi raccoglierle e disporle in guisa da farle irresistibilmente sentire a chiunque getta l’occhio su quella statua. Ma, il fondamento capitale dell’arti essendo pur sempre il vero reale, accade di necessitá che, quando uno l’ha primamente colpito ed ha pigliato tal metodo da non trovarsene uno migliore, non rimane agli artefici successivi fuorché il merito della perfezione ideale; merito nondimeno per cui spessamente acquistano piú lode che non il maestro, il quale ha loro dato antecedentemente l’esempio, e da cui avranno forse anche copiato il «vero reale» che non potevano copiare diversamente dalla natura, o, se non altro, hanno certamente proceduto col