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Pagina:Foscolo, Ugo – Prose, Vol. II, 1913 – BEIC 1823663.djvu/144

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medesimo metodo. Eschilo compose la tragedia d’Oreste che uccide la madre. Sofocle, Euripide, contemporanei, e poscia altri greci, de’ quali non restano le opere, trattarono lo stesso argomento, e molti latini, e moltissimi fra’ moderni, e fra’ recenti Voltaire e l’Alfieri. Nessuno potea dipartirsi dal fatto; nessuno volle assegnare a’ personaggi interessi o passioni o caratteri d’animo differenti dagli assegnati da Eschilo; parve a tutti che il primo imitatore della natura avesse colpito il vero; parve anche che nella orditura avesse trovato un metodo proprio all’intento1: ma sentiva altresí ciascheduno d’essi che avrebbe potuto successivamente trovare nuove e piú naturali e piú efficaci le varietá, onde migliorarne a poco a poco sino alla perfezione la parte ideale. E l’Oreste dell’Alfieri, che è l’ultimo d’epoca, prescindendo da molte varietá di grandissimo effetto, n’ha una essenziale, per cui in questo soggetto anche i critici, che non lodano il suo stile e il suo sistema tragico, confessano ch’ei per quel solo ritrovato merita d’essere primo fra i poeti dell’antico parricidio d’Oreste2.

Il libretto tedesco e l’italiano rappresentano un suicida de’ nostri tempi. Tutti due hanno non solamente comune la pittura reale e gli accessorii che, dati i fatti avvenuti ed osservati dall’uno e dall’altro degli autori, non potevano essere molto diversi3;

  1. Da Eschilo in qua (ove si eccettui il metodo del teatro inglese, tenuto oggi dal tedesco) tutti i tragici hanno serbato dal piú al meno il disegno generale del teatro greco: se non che i francesi hanno voluto correggere la semplicitá con troppi accessorii; l’Alfieri al contrario lo ha ridotto a troppa severitá, tanto piú che non poteva giovarsi de’ cori, che adornano le antiche tragedie di ricchezza poetica e d’armonia.
  2. I poeti anteriori migliorarono di mano in mano gli espedienti necessari affinché Elettra riconoscesse da sé il fratel suo, ch’ella aveva perduto bambino; spontanei, erano accidentali, alieni al soggetto, e palesavano la necessitá che n’aveva l’autore. L’Alfieri fa nascere il riconoscimento d’EIettra e d’Oreste dalle loro passioni e dallo stato in cui si trovavano; e, mentre che Elettra era piena del suo cordoglio intorno alla tomba d’Agamennone, e Pilade acquetava ad ora ad ora la rabbia della vendetta in Oreste, l’impazienza del giovine scoppiò appunto per gli sforzi che ei faceva a reprimerla e, tenendo gli occhi intenti dove stavano le ceneri di suo padre, diceva fuori di sé: — Sí, mi fu tolto un padre! berrai e tosto, il sangue di chi t’uccise; — cosí che Elettra è costretta a esclamare: — Chi sei tu dunque, se tu non sei Oreste? — e Oreste, alienato da! suo furore, si volta subitamente alla donna, dicendo: — Chi, chi mi appella? — e involontariamente si scopre da sé. Questa scena è preparata gradatamente, in guisa che le tronche parole pronunziate da’ personaggi sembrano dettate non tanto dall’autore quanto dagli spettatori che stanno ascoltando.
  3. Se non fosse che le si ripetono come innegabili, ci parrebbero indegne di risposta due ragioni allegate a convincere il libro dell’Ortis di plagio. L’una: che