E i beneficj delle Dee, che a tutti
Che ad udirla accorrean non provocasse 275Soavissimi gemiti dal core.
Sventurata! piangetela donzelle;
Vergine sventurata! Arcade ell’era,
E di Tessalo amante; e l’amò pria
Che sì bello e gentile il conoscesse: 280E spesso al canto ei l’invitava, e spesso
Su’ labbri il canto le rompea co’ baci.
Già vicina alle sue nozze, beata
Le ghirlande apprestava; e le fu spento.
Senza lacrime a terra muta cadde; 285Ma le Grazie l’accolsero morente
Nelle pietose braccia, ed una nuova
Aura di vita le spirâr. La mesta
Non sciolse il cinto; e, finchè lei sotterra
Non chiamò Cloto1 a riveder l’amante, 290All’altar delle Dee consolatrici
Sacrò gl’inni e il dolor, vergine ancella.
Udì Cipria que’ Cori, e disvelossi;
E quanti allor garzoni e giovinette
Vider la Deità, furon beati; 295E di Driadi col nome e di Silvani
Fur compagni di Febo. Infra le Muse
Scherzar ne’ fonti suoi vedeali Imetto,2
E ne’ suoi colli il Tebro.3 Oggi, le umane
Orme temendo, e de’ poeti il vulgo, 300Che con lira straniera, evocatrice
Di fantastiche larve, a sè li chiama,
Invisibili e muti nelle selve
Celansi: come quando esce un’Erinni
↑289. Cloto, la prima delle Parche, cui incombeva di regolare il tempo della esistenza. Il Poeta, considerandola qui come quella che chiamava alla pace de’ sepolti un’amante infelice e cara alle Grazie, sembra aver mirato a quel luogo di Pausania (Attic., p. 33), ove riferisce che presso i Greci, e particolarmente in Atene, avea culto ed ara sotto il nome di Venere urania, o celeste.
↑298. Qui e ne’ seguenti versi il Poeta, inesorabile alunno dell’Arte greca e latina, dà un fiero colpo alla scuola boreale. Comunque sieno le opinioni del lettore su questo proposito, certo egli non potrà pon rispettare il voto che questo alto e libero intelletto in ogni occasione volle serbare a favore di una scuola, di cui fu zelatore caldissimo, e di cui anco aumentò i tesori con questo Carme.