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Mio viver grave da tanti delitti

Contaminato; e da infamia cotanta. –
Pur io ti priego; e per l’amaro frutto,
Frutto innocente di profano ardore,
Ti priego io sol. – Lasciarmi i dì non dei,
Nè puoi, nè il voglio: in cor d’entrambi avvampa,
E ’l sai ben tu, feroce odio di morte;
Nè spento andrà s’uno dei due nol tuffa
Del fratello nel sangue; a me non spetta,
Ch’io re non sono: pazïenza opposi
A tuo furore io sempre; alle tue trame
Opposi ferro, e invano. Or tu pon fine
A nostre gare, e all’infelice madre
Sol rendi il figlio: de’ suoi mali fonte
Noi fummo; e fonte di peggior sventura
Sarem noi pur? – Altro non chieggio: e in prezzo
A te gradito ecco mia vita.
Erope. Indarno
Parli, Tïeste. Tu di me per sempre
T’obblia, per sempre. Nel tuo soglio torna;
Vivi: a morire qui starommi io sola,
Sola io, cagion d’ogni tuo fallo. Il figlio
Lasciami in cura. – O re, mal tu l’ascondi
Ad una madre; io veglierò, vivendo
Per lui soltanto; e se mel togli, un’ora
Non rimarrommi, e ’l seguirò nell’urna. –
E chi, tranne una madre, il tuo divieto
Romper potea? Da’ tuoi custodi il figlio
Strappai: me lassa! Ove celarlo? Un crudo
Nume invadeami il cor: divina voce
Sentia tonar a me dintorno. – «Mori»,
«Ma pria lo svena». – E già la man sul capo
Stendea del figlio, e già feria... delitto
Nerissimo! – Deh placati! deh! schiudi
Il pargoletto a una dolente madre;
Quindi sarò, qual vuoi, sommessa e lieta
A’ tuoi tormenti, ove di più tu n’abbia.
Atreo. Tuo figlio! ei crescerà tutto rigonfio