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I MONUMENTI EQUESTRI 51

fectione» (1). Il De Marchi precisò che Leonardo, per cotanta fusione « non si fidò di una fornace sola, ma ne volse tre, le quali potessero disfare il metallo che in esso cavallo vi andava; la ragione che dava, diceva che il fuoco di una fornace non poteva far venire in bagno tanta quantità di metallo, perchè non poteva arrivare per sino al fondo: ancora che di sopra si vedesse il metallo disfatto, non per questo era disfatto quello da basso: per la gran quantità, e per il grave peso non si puoi maneggiare con perticoni ancora che sia disfatto » (2).

L'artista studiò certo a lungo il modo di superare quella grave difficoltà, forse insormontabile, di fondere in un solo fornello 200 mila libbre di metallo. Una nota del Codice Atlantico accenna com’egli vi si disponesse, moltiplicando i fornelli (e non, come fraintese l’Uzielli, le forme), stendendo note per aumentar la fusione, per illotare i fornelli, per allegare i metalli, per evitare il congelamento, per pulire i getti, ecc. (3): in una parola perchè la fusione riuscisse omogenea in tutte le sue parti. Il Vasari, assicurando che la preoccupazione costante di Leonardo di « voler cercare sempre

eccellenza sopra eccellenza e perfezione sopra perfezione » fosse la ragione che l’opera non fu compiuta, sembra riassumere l' opinione prevalente negli artisti del suo tempo. E aggiunge: « quelli che veddono il modello che Lionardo fece di terra grande giudicano non aver mai visto più bella cosa ne più



  1. C. De Fabriczy, Il codice dell’anonimo Gaddiano nella biblioteca naz. di Firenze, in « Arch. stor. It. », 1893.
  2. F. De Marchi. Architettura militare, ed. Roma, 1810. III. 203.
  3. Cfr. Richter, II, pag. 11 e segg., 23 e segg., e N. Smiraglia Sconamiglio, in « Arch. stor. dell’Arte ». 1896. pag. 463.