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88 CAPITOLO III

Fra i progetti del maestro e le traduzioni in bronzo cinquecentesche che abbiamo esaminalo più sopra v’è un legame di affinità piacevole e tenue ma ormai lontano: fra gli stessi progetti e il bronzetto di Budapest corre invece uno strettissimo vincolo di parentela.


Vien ripetuto, da scrittori più vicini all’epoca in cui l’arte di Leonardo trionfò, che l’artista scienziato aveva preparato fogli di anatomia del cavallo, così com’egli aveva fatto per l’uomo. Di lui il Lomazzo ricordava «l’anatomia dei corpi umani et dei cavalli, ch’io ho veduta apresso a Francesco Melzi, designate divinamente di sua mano»1. E altra volta: «Leonardo è stato eccellente e unico a plasticare e dipingere i cavalli come si vede nella sua anatomia». Ma, men che pochi disegni anatomici — i quaranta fogli sciolti di Windsor, di vario formato, che il Richter ritenne eseguiti fra il 1490 e il 1495 — nulla ci rimane di quell’utile lavoro, per quanto gli stessi che abbiamo esaminato rivelino, attraverso il loro spirito eminentemente ravvivatore, un substrato di serie conoscenze e di evidenza anatomica. Ne’ scritti vinciani, è la prova di studi di diligente anatomia comparativa anche per quanto si riferisce al cavallo.

Non mancò chi cercò di provare che qualcosa di quel lavoro è arrivato tuttavia fino a noi, attraverso l’opera di altri che a quello attinsero a due mani. L’Jachsckath s’industriò addirittura a provare che, come l’opera di Andrea

Vesalio De humani corporis fabrica libri septem, anche l’Ana-



  1. G. P. Lomazzo, Idea del tempio della pittura, Milano, 1590, pag. 17.