Pagina:Frezzi, Federico – Il quadriregio, 1914 – BEIC 1824857.djvu/197

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capitolo xix 191

     100E lí a seder se puse fiacco e lasso;
e menacciava Dio, alzando il mento,
che fe’ che ’l suo volar li venne in casso.
     Quando ’l vidi cadere, io fui contento,
perché conobbi che quanto piú sale,
105tanto egli ha piú ruina e piú tormento.
     Tenendo io ’l bello scudo per occhiale,
vidi i neri giganti e lor palazzi,
pieni d’invidia, d’ira e d’ogni male.
     Vidi mutati in pianti lor solazzi
110e che smongono altrui e sono smonti
dalli centauri e dalli lor regazzi.
     Vidi che li gran sassi e li gran monti
conducean sopra sé per far la torre,
sopra la qual da loro al ciel si monti.
     115Sí come, quando vòlsono il ciel tôrre,
che pusono Ossa sopra il gran Peloro,
talché Iove gridò:— Vulcan, soccorre!—
     cosí in quel pian s’ingegnan far coloro;
ma, perché la lor possa non seconda,
120ritorna sempre invano il lor lavoro.
     Ed ogni volta che la voglia abbonda
piú che la possa, avvien che mal viaggio
faccia l’impresa e che ’l fattor confonda.
     Però colui che è prudente e saggio,
125perché l’impresa non gli torni invano,
fa che la possa sempre abbia vantaggio.
     Elli facean le torri nel gran piano,
e chi portava sassi e chi la malta,
chi ordinava e chi facea con mano.
     130Io vidi una di quelle andar sú alta
sin dove del vapor fa pioggia il gelo,
tal ch’io dicea fra me:— Giá ’l cielo assalta;—
     quando Iove percosse su da cielo
con un gran tuono, e la torre e ’l gigante
135mandò a terra il fulgoroso telo.