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Pagina:Galiani, Ferdinando – Della moneta, 1915 – BEIC 1825718.djvu/68

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62 libro primo


sará bene rapportar qui brevemente quelle proprietá dell’oro e dell’argento, che io sento inconsideratamente celebrarsí come quelle che indussero l’uomo ad usargli per moneta, ed esaminare se cosí sia come Plinio dice1.

Sono questi due metalli soli da’ chimici detti «perfetti», perché in essi non si contiene porzione alcuna di terra, o sia di materia friabile, inutile ed atta col fuoco a vetrificarsi; la quale in tutti gli altri metalli inferiori, che «imperfetti» perciò si dicono, si ritruova. È dunque la loro sustanza costituita di mercurio e di solfo. Con queste due voci esprimono i chimici certi principi fisici, e non giá l’argento vivo e il solfo comune. Chiamano «mercurio» quella sustanza non volatile, ma atta a liquefarsi e scorrere e formarsi, la quale, lasciando trapassare tra’ suoi pori tutti i sali discioglienti e il fuoco, non si fa da essi penetrare o mutare. Diconsi «solfo» quelle particelle, che danno al mercurio consistenza, durezza e colore, le quali il fuoco rende volatili, i sali le disciolgono, impregnansene e se ne tingono; e forse questo solfo altro non è che le particelle della luce. Una tale constituzione meritamente gli fa chiamare «semplicissimi», non potendosi in niente altro risolvere e permanendo immutabilmente costanti ad ogni esperimento. Né si è potuto ancora con alcuna forza di altro corpo (tolti i raggi della luce, raccolti nella lente ustoria dello Tschirnausen) trasformargli in modo o diminuirgli, sicché nella loro prima natura e quantitá non ritornassero sempre.

Due mesi tenne Roberto Boyle liquide tre once d’oro, senza che si scemassero neppur d’un grano; e due mesi tenutovi l’argento, si scemò solo di una dodicesima parte, se pur questa non fu d’estranea materia, che se ne distaccò. La spiegazione di tutte queste qualitá dell’oro e dell’argento si potrá leggere, da

  1. N. H., xxxiii, 19 [3]: «Praecipuam gratiam huic materiae fuisse arbitror, non colore.., nec pondere..., sed quia rerum uni nihil igne deperii, tuto eliam in incendiis rogisque durante materia... Altera causa pretii maior, quam minimum usu deteri... Nec aliud laxius dilatatur, aut numerosius dividitur... Super caetera non rubigo ulla, non aerugo, non aliud ex ipso quod consumat bonitatem minuatve pondus. Iam contra salis et aceti succos, domitores rerum, consiantia: superque omnia netur ac texitur lanae modo et sine lana».