Pagina:Galileo e l'Inquisizione.djvu/4

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minata dottrina, Galileo non potè stare alle mosse e deliberò d’intervenire perchè la temuta proibizione, da una parte, ed il prevalere di idee conformi appresso i Granduchi, dall’altra, gli avrebbero per sempre impedito di combattere per quella verità nel cui trionfo egli riponeva ormai lo scopo di tutta la sua vita.

La memoranda lettera al fido Castelli, ampliata poi nell’altra celeberrima alla Granduchessa Cristina[1], nella quale sono così nettamente e magistralmente segnati i confini tra la scienza e la fede, esasperò la parte teologica che già s’era pronunciata contro Galileo con la famosa invettiva del domenicano Tommaso Caccini[2] in Santa Maria Novella; ed un suo confrate, il Lorini[3], già chiaritosi anticopernicano in San Marco, denunziava al Santo Uffizio la lettera al Castelli, come quella che conteneva proposizioni sospette e difendeva opinioni contrarie all’interpretazione che i Santi Padri avevano data alla Scrittura Sacra. Avuto sentore di questo, Galileo, dimentico di sè e del pericolo al quale andava incontro, accorre a Roma per isventare le trame che si ordivano contro il sistema del quale, con le lettere sulle Macchie Solari, erasi ormai fatto aperto propugnatore. In Roma egli si agita, guadagnando sempre nuovi proseliti; ma ad arrestare la pericolosa corrente, la Inquisizione affretta nell’ombra la sua procedura; e mentre egli si aspettava d’essere chiamato a difendere altri e si illudeva nella credenza che il tremendo tribunale volesse essere da lui illuminato, e preparavasi ad addurre i suoi più poderosi argomenti, si agisce proprio contro di lui come principale accusato e come un accusato così pericoloso da dovergli negare perfino il diritto della difesa.

Nel breve corso d’una settimana il processo è esaurito: la dottrina del moto della terra e della immobilità del sole nel centro del mondo vien dichiarata stolta ed assurda in filosofia e formalmente eretica; e per ordine del Pontefice, Galileo è chiamato dal cardinale Bellarmino, e davanti al Commissario del Sant’Uffizio e di testimoni, dei quali si direbbe quasi che fosse stata dissimulata la presenza ufficiale, gli viene ingiunto che lasci del tutto la dannata opinione e che in maniera alcuna più non la tenga, insegni e difenda, altrimenti si sarebbe proceduto contro di lui nel Santo Uffizio.

Galileo promise di ubbidire; e nel giorno medesimo nel quale il Bellarmino annunziava alla Congregazione del Sant’Uffizio che