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216 il governo del monaco


«quelli erano bei tempi, amico caro!» sclamò — poi dirigendosi alla brigata: «Io allora abitavo» — continuò — «le catacombe colle mie bande — e gli sgherri di Roma — pria di avventurarsi in questa immensa campagna — erano soliti a far testamento.

«La donna che vi spense il lume, e che poi fu ben gentile con voi — come lo era con tutti — era la mia Alba — morta non è molto dal dolore de’ miei patimenti e della mia prigionia.

«Oh!» esclamò alla sua volta l’antiquario, eravate dunque quello seduto in capo alla mensa — e tenuto in tanto rispetto dai vostri — che un sovrano non potrebbe esser di più?

«Era io,» rispondeva dolorosamente il bandito. «Gli anni hanno corrugata questa fronte — e s’è imbiancato il pelo — tra i ferri e le sevizie di quegli scellerati che si chiamano ministri di Dio — la mia sola coscienza è rimasta pura! — Io ho trattato ogni creatura infelice benignamente — e lo potete attestar voi — se vi fu torto un capello — se alcun danno v’incolse tra noi. — Certo! ho voluto abbassare quei superbi sibariti, che vivono nel vizio e nella lussuria — a spese dell’umanità sofferente — come