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capitolo xvii 77


passi verso l’addomesticamento li fa con due giorni di corda corta e nessun alimento od acqua. Tali sono tutte le specie di padroni, e la tirannide ben conosce esser l’avvilimento dell’anima compagno dell’avvilimento del corpo.

Era dunque la una della mattina del 27 maggio 1860, quando la cella della Marzia fu semiaperta e l’orrida figura del tentatore — che già abbiamo fiutato in Piazza Reale nel peristilio dell’Albergo d’Italia ed in fondo di una carrozza alla passeggiata pubblica sulla sponda del Tirreno — mostravasi alla derelitta.

Orrida figura, dico, perchè sapeva scendere nei penetrali di quell’anima di Lucifero — e come Lucifero adorna di belle esterne forme.

Tale era questo demone a cui natura era stata prodiga di favori per sventura dei suoi simili.

E qui col ginocchio piegato davanti alla bellezza umana, io, vecchio e senza pretensione, devo un rimprovero o piuttosto un avvertimento alla donna: essa sarebbe assai meno infelice, se si occupasse un po’ più di discernere sotto l’involto d’un bell’uomo, l’anima di un Lucifero!

Marzia trasalì, ebbe dei brividi — come le successe sul marciapiede di Piazza Reale — riconobbe nell’ombra le sembianze del suo tentatore, e sull’impeto primo essa fu per lanciarsi contro di lui e sbranarlo.

«Marzia!» esclamò il Gesuita. «Marzia» ricominciava il prete, e quella voce risvegliando forse nella memoria della fanciulla chissà quali