mit se meliorem, quia cernit se superiorem. at bonum facit non gradus, sed virtus, non dignitas, sed honestas, priores dedignantu amicos, notos ignorat hesternos, comites contemnit antiquos, vultum avertit, cervicem erigit, fastum, ostendit, grandia loquitur, sublimia mediatur, subesse non patitur, praeesse mollitur, praeceps, et audax, gloriosus et arrogans, gravis et importunus. [Seneca]Seneca in una sua epistola, insegna al prelato quel c'hà da far inanzi che comandi a gli altri, et che regga gli altri dicendo. Refraenet primum libi lines, spernat voluptates, iracundiam teneat, avaritiam coerceat, caeteris animi labes repellat, et tunc incipiat alijs imperare, cum ipse improbissimis dominis dedecori, et turpitudini parere desierit. Ma che cosa hà da dire il suddito, quando vede il prelato in tutti i vitij immerso (parlo di quelli che sono tali, osservando sempre li boni, e giusti prelati, delli quali assai ve ne son di santa, et ottima vita) in tutti gli errori implicato, in tutte le colpe scorrer à guisa di cavallo scapestrato? che cosa ha egli da dire, mentre lo vede nelle delitie involto, né piaceri intricato, nelle cupidità distratto, nell'ambitioni affogato fino al collo? Quando un prelato vive da Sardanapalo, Lussuria come un Diogene, Lascivisce come uno Heliogabalo, precipita né vitij come uno Commodo, che cosa di buono può imparare il suddito da questa vita trista e sconcertata? quando un prelato si vede non curar Domenedio, tralasciar la devotione, abbandonar gli uffici santi, allentar l'osservanze consuete, fuggire il rigor della religione, partirsi dalle stretezze, non far cõto de gli ordini, non stimare i capitoli, abhorrir le riforme, schernire i mandati de' maggiori, absentarsi dalla Chiesa, pigliar bãdo dal choro, nõ trovarsi à alcuno ufficio, mostrarsi in somma un ribello di Dio a spada tratta, che cosa hà da dire il suddito in tal caso quando cõ tutto ciò per ogni legierezza s'adira seco, ne sol s'adira, ma l'arguisce, ne sol l'arguisce, ma l'ingiuria, ne sol l'ingiuria, ma lo straneggia, ne sol lo straneggia, ma cõ precipitose pene lo tormẽta, et affligge, che cosa dee pẽsare, ò dire in quelle disperationi sì violente? Quãdo il misero cõ gli occhiali al naso di vista grossa vuol mirare i diffetti del suddito, et suoi proprij con quei di vista sottile, con quello và in colera, con se stesso è placido, con quello è una vipera, con se medesimo è uno agnello, con quello è severo come un Nerone, terribile come un Caio, austero come un Minos, implacabile come un Rhadamanto, impetuoso come una furia infernale, con se stesso non conosce altro che libertà, tranquillità, piacevolezza, e pace delitiosa, che dee dire il suddito allhora? che dee imaginarsi nell'animo suo? che deve fare in questa oppositione estrema? quando il prelato è il primo à pigliarsi buon tempo, à star sopito in letto al tempo dell'hore mattutine à vagar per gli claustri, à frequentar la stalla, la porta, e la cucina,