Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1843.djvu/108

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i può che fargli onore, benché ciò non > gli acquisti in tanto grado l’applauso della l moltitudine. Donizetti non ha bisogno di j ricorrere al favore della plebe che sì facilmente si contenta-, il suo nome si è oramai acquistato un tal credito ch’egli può tentare qualche passo in favore dell’arte, il quale, benché meno festeggiato dalla massa, farà però figurare l’artista con tanto maggior gloria agli occhi dei veri amanti dell’arte stessa:, ben inteso che un tal deviamento dal solito sentiero debba aver per base una ferma convinzione artistica, senza la quale un tal passo non avrebbe conseguenze nè per la buona causa, nè per 10 stesso artista.- L’atto terzo, senza dubbio il più felice dell’opera, offre al compositore anche nell’azione drammatica una più ampia sfera per l’illimitata estensione della sua fantasia. Le passioni si concentrano, l’azione si riunisce in un sol punto e subentra la massiina alterazione degli affetti. Amore, gelosia, vendetta e disperazione agiscono alternativamente e somministrano al compositore occasione per una efficace caratteristica del suo quadro musicale. Ch’egli abbia saputo approfittare di questa occasione, lo dimostra 1 aria d’Enrico: «Ogni mio bene in te sperai?» e più ancora il brillante terzetto fra Enrico, Riccardo e Maria: «Vivo non Vè concesso.» Questi due pezzi sono i più splendidi di tutta l’opera} havvi in essi una passione, un sentimento della situazione, insomma una verità nell’esposizione musicale che fa grande onore al compositore e che in poche sue migliori opere troviamo portati ad un cosi sublime grado. In quanto ai singoli caratteri di quest’Opera, mi sembra che tanto per parte del poeta che del compositore, Enrico sia il meglio tratteggiato-, anche Riccardo nella sua esitanza offre molti momenti musicali di sommo interesse-, meno di tutti però, sotto questo riguardo, fu favorita la protagonista dell’Opera. Benché in sè stesso 11 carattere di Maria, come è dipinto dal poeta, non possa risvegliare in noi clic un lieve interesse per la medesima, è egli anche per parte del compositore, direi quasi, alquanto negletto. Le parti secondarie sono di nessuna importanza e poste più per figura anziché per cooperare all’azione. Anche il coro ha poca parte, il che è tanto più da deplorarsi, mentre, atteso la brevità dell’Opera, il compositore avrebbe avuto occasione di intrecciarvi alcuni efficaci cori, mercè i quali sarebbe stato rallentato il troppo celere sviluppo dell’azione, e la stessa Òpera avrebbe acquistato una gradevole varietà. L’esecuzione fu pienamente felice. Il signor Ronconi colla sua azione veramente ispirata dall’arte seppe acquistarsi un universale e ben meritato applauso. Anche il sig. Guasco fece prodigi} il suo sceneggiare fu felicissimo, e ìa sua voce risuonò oggi tanto pura e sonora quanto fin ora non fu mai sentita. La signora Tadohni seppe dare un gran rilievo a questa Maria: il suo canto fu anche in questa parte distinto, e la sua azione drammatica degna de’ più caldi encomii. I cori e l’orchestra eseguirono egregiamente sotto la direzione del sig. Compositore. A. S. MUSICA MODERNA SULLA INSTABILITÀ DELLA MUSICA (1) Varium et mutabile scnipcr. Vino. A voi parrà tempo d’uscire di chiesa, e d’udire le musiche profane} cosicché io sarò costretlo a continuare la sinfonia conducendovi ai teatri, alle accademie, ai concerti, su per le piazze, pei trivj, e. forse anche per le taverne, onde ve ne facciate un’idea compiuta e perfetta} nella quale passeggiata talvolta dovrò dirvi: eh! badate bene} anche questa è musica, quantunque poco differisca dal guaire dei gatti. o da strepitoso baccano. Del resto guardate clié la passeggiata sarà lunga} poiché la musica, avendo ottenuto un passaporto d’ubiquità, o privilegio di cosmopolizia che vogliate dire, ed essendo perciò cittadina di tutto il mondo, saranno innumerevoli i buchi ili cui dovremo visitarla. Ma come la bella stagione ci fa grazia di sue lusinghe, sarei quasi tentato di menarvi tosto lungi dalla città per le campagne a udire i bei concerti de’contadini e de’pastori} onde da questa musica semplice e rozza farci scala a quella della città... Ma adagio} che io non potrei assicurarvi di farvi gustare tra i boschi, e lungo i ruscelli le belle Egloghe de’ Condoni, e degli Alessi accompagnate dalle pive, dalle zampogne, dalle cornamuse, in breve da tutta la boschereccia orchestra. Pur troppo, amico, le valli e le selve non risuouauo più come una volta! i pastori non son più poeti, non son più musici} essi, come credo, perdettero tanta abilità dopoché i musici e i poeti diventarono pastori. Però vi sarebbe’in cambio un’altra musica da udire in campagna, musica pur semplice, bella, varia, inalterabile, e veramente ferma, siccome fermo è l istinto che la produce, voglio dire l’armonia del coro pennuto... Che ve ne pare? sarebbe ella degna del vostro gentilissimo orecchio, della vostra mente osservatrice? Io vi accerto che udiremmo de’ bei trilli, e gorgheggi, e modulazioni, e volatine di gola da disgradarne le Catalani e le Malibrau, e che saremmo anzi accolti con piacere nel loro gratuito teatro, poichp anche gli uccelli ambiscono d’essere ascoltati, d’essere ammirati nelle loro gare, nelle loro bravate, e vi so dire che amano più questo che il dar nelle ragne, o l’essei-e arcobugiati dai barbari cacciatori. Ma quale non sarebbe poi la vostra maraviglia, quando in un momento di pausa io vi dicessi all’orecchio: ehi! badate | bene anche qui} che questa è musica mae| stra. Imperocché non è dubbio che noi! uomini avendo molte cose imparate dalle ] bestie, come per cagion di esempio dalla I volpe la frode, dal serpente la sottigliezza, | dal leone la feròcia, dai cani l’ingordigia,! avrem pur dagli augelli appresa la musica, non dico la stromentale, ma la vocale} di! modo che le rondinelle e i cardellini ci | saranno stati maestri di melodia, i rossij gnuoli d’armonia, i merli di contrappunto, I e via discorrendo. E come anticamente usa; vansi contraccambiare le fatiche de’ maestri, il e d’altra parte, dando et accipiendo la so-, ì (1) Continuiamo ad offrire a’ nostri lettori queste in1 tcrcssanli lettere dettate dal prof. B. pel Subalpino, e i dal medesimo autore destinate a ricomparire iu questa nostra Gazzetta Musicale. cietà si mantiene, e l’amicizia si conserva} noi uomini e scolari ci saremo addossati g in generale di domar le belve feroci, c ma- c lefiehe, che sono i turbolenti della repub- U blica belvina, ed in particolàre in quanto < ai pennuti d’insegnare l’articolazione ai pappagalli. Ma questo contratto non dovette durar molto,avendo gli uomini mossa guerra anche ai quieti ed innocui animali, incarcerati molti uccelli pei loro sollazzi, e destinatine molti al supplizio delle loro mense. So bene che alcuni non ammetteranno l’esistenza di questa scuola, nò di questo contratto siccome non necessario, avendo potuto gli uomini imitare il canto degli uccelli, come s’imitano, le altre cose, procurando di migliorare, e direi quasi umanizzare quanto vedevano farsi da loro. Ma per me poi fa lo stesso, sapendo che l’imitazione è una scuola muta.} nè per altro la natura fu chiamata maestra che per aver tacitamente insegnato agli uomini quanto dovessero a loro vantaggio e diletto operare. Comunque però sia la cosa, allorché gli uomini lasciarono la vera scuola della natura. e diedersi a contraffare l’un l’altro, 0 ad imitare il peggio, le arti cominciarono a decadere. Nè altrimenti doveva avvenire alla musica allorché i suoi cultori, trascurato il canto degli augelletli, si vo.lsero ad imitare il ruggito del leone, l’urlo del lupo, il brontolio del tuono, il fracasso dell’artiglieria. facendoli credere più belli, più dolci dello soavi melodie de’ boschi, avvezzando la moltitudine ad accorgersi dal rumore deìla esecuzione d una sinfonia, come dal tuonare avvedevansi gli antichi dell’esistenza di Giove. Per questo reo costume accadono tempi, in cui non si sa più dove stia il buono ed il bello, in cui i figli trovali bello e buo’no quanto ai padri ed agli avi era paruto cattivo, c disgustoso: e viceversa} accadono tempi in cui le arti si aggirano in un vortice d’incertezza, d’errore, d’instabilità} in cui ogni palato è diversamente soddisfatto, e gli ingegni debbono cucinare su tanti gusti quanti sono 1 commensali. E epiesto caos d’incertezza si osserva principalmente nella storia musicale. Infatti (per non trattenervi più in preamboli) dall’età per lo meno di Palestrina sino a’giorni nostri, il che vuol dire per tre secoli, altro non fece la musica e sacra e profana che divagare qua e là incerta ed instabile, cangiando ad osili età e metodo, e gusto e tenore, prevalendo sempre il nuovo sulla distruzione del vecchio. Così le prime opere musicali del secolo XVII, in cui un Caccini, un Carissimi, un Peri, un Lulli, un Zarlino avevano abbozzato il nostro ‘melodramma con molto senno e gusto, caddero in un eterno obblio all’apparir dei drammi di Zeno, e poi di Metastasi, su cui i più valenti maestri sudavano a prova. Correva allora l’età aurea per la musica. Vinci, Pergolesi, Porpora, Marcello, Gluck, Hasse con altri eccellenti erano ricercati per tutta Europa} l’opera in musica aveva toccato il colmo della perfezione e della gloria. Eppure cinquanta o sessantanni dopo la fama e le opere di costoro erano ecclissate perpetuamente dai Cimarosa, dai Paesielli, dai Tarchi, da’Mozart, dagli Haydn, e poco dopo da Mayr, da Paer, da Generali, da Fioravanti, da Guglielmi. 1 quali videro i padri nostri, e t noi oscurarsi allo splendóre de’maestri vi- ’ venti che trionfarono di loro, e di lutti ( quelli che per tre secoli avevano guerreg- (