Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1843.djvu/142

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giudizio pubblico nell’assemblea o nel teatro. I medesimi contrassegni non mancano al viaggiatore moderno, il quale, ove, per esempio, rechisi al teatro trova subito motivo di poter estimare il criterio ed il gusto degli spettatori, e forse di tutta la città. Se è una musica buona non ascoltata, conchiuderà che gli uditori non sono in grado di sentirla1, se uno sproposito drammatico applaudito, o tollerato, dirà che la platea è ignorante o sofferente, ecc., ecc. Un giudizio sfavorevole dato in teatro può avere tante e tante conseguenze non teatrali. Ed intanto la musica, innocente cagione di queste sventure, per i suoi dissaporosi cultori ed amici, più dannosa die utile riesce, perchè impedita dal toccare quello scopo che è il miglior bene possibile della società. Ma se ella ha coraggio di superare e questi e simili altri ostacoli, io dico doverle col tempo divenir più facile e sicuro l’acquisto d’una civile e morale importanza nelle presenti tendenze. Non ignoro che questo sublime uffizio dipende anche da.esterne influenze, da autorevoli esempj; ma io son certo che quando abbia qua e là ben meritato del pubblico e privato costume, sarà tenuta in gran conto d’educatrice, e potrà anche sperare l’antico onorevole servizio prestato ai filosofi, ai politici, ai legislatori. (,Sarà continuato) Y. Bigliasi MEMORIA intorno alla vita e«l agli scritti di ■’■t «venivo KtFtTRin (Continuazione. Vedi il N. 51). Ma la peste la quale incominciò a devastare quel regno, e le scorrerie de’Turchi, che dato il sacco a tutti i paesi, che loro presentavansi nella Puglia, s’erano di già impadroniti d’Otranto, costrinsero il t ranchino a far ritorno in Lombardia. Prima però di proseguire la narrazione delle di lui vicende, non fuor di proposito sembrami di parlare di una taccia datagli dal sopra citato signor Choron, il quale nel suo discorso, da esso tenuto nella seduta dell’Istituto di Francia li 5 dicembre dell’anno 1812, intorno ad un r; manoscritto posseduto dal signor Fayolle, il quale contiene la più completa collezione delle opere di Giovanni Tintore, disse: che tutti gli autori venuti dopo di lui per più d’un secolo, come Franchino Gaffurio Ornitoparco, P. Aron, Vanneo e quella folla di didattici italiani, che gli sono succeduti sino a Zarlino, altro non hanno fatto che seguire le vestrgia di Tintore, senza aggiungere cosa alcuna alla di lui dottrina. Quest’autore tanto nella storia della musica versato, non si ricordava in quel momento, ch’egli stesso nel citato suo Dizionari9, dandovi le notizie biografiche di Gafuri (trascritte però dalle opere de’tedeschi Gerber e Forckel racconta che Gaffurio e Tintore trovaronsi assieme a Napoli, ed intorno alle cose musicali disputarono; oltreché essendo il deffinitorium del Tintore (specie di Dizionario musicale) (fu questi il primo libro di Musica che venne promulgato colla stampa nel 1474) e l’altra sua opera de natura et proprietate tonorum, state divulgate prima, che il nostro Gaffurio pubblicasse nel 1480 i due or ora accennati opuscoli, facil cosa sarebbe stata a’suoi fieri avversarj Spatario e Burzio di tacciarlo di plagiario, s’egli non avesse fatto altro, che seguire; le orme del Tintore, anzi se vaga non fosse l’asserzione di M. Choron, essi avreb- i bero dovuto impugnare la dottrina del Tintore, e non già quella del Gaffurio. Dippiù, Tintore stesso non avrebbe sì facilmente serbato il silenzio, giacché le in] dicate opere del Franchino vennero stani- j paté sotto i suoi occhi, nè certamente intorno alla dottrina musicale avrebbero fra di loro disputato, se fossero stati amendue della medesima opinione; mentre Gaffurio parla bensl’nelle varie sue opere del Tintore, e cita in più d’un luogo i di lui scritti, ma siegue costantemente il proprio sistema e dottrina. Sembra dunque che il sullodato signor Choron siasi lasciato trasportare un po’ troppo dalla gioja d’aver dissotterrato l’indicato codice, il quale essendo da per sè di sommo pregio ed interessante per la storia della Musica, non avrebbe avuto bisogno d’essere esaltato a spese altrui. Ma pur troppo siamo avvezzi a sentire gli stranieri menar gran vanto d’ogni minima lor cosa, nè è meraviglia che un letterato francese lenti deprimere il merito di altre nazioni. Ritornato il nostro Gaffurio a Lodi presso Carlo Pallavicini Vescovo di quella città, passò vincolato dalle istanze del medesimo a Monticelli luogo del Cremonese ove pel corso di tre anni istruì molli giovani nella musica, ed incominciò a travagliare intorno all’altra sua grand’opera intitolata Practica Musices. Sparsasi frattanto viemmaggiormente la fama del profondo suo sapere, e della sua non facil arte e perizia nell’insegnare, sì nobile credito egli acquistossi, che i cittadini bergamaschi, memori inoltre dell’origine, eh ei traeva dal lor paese, non risparmiarono nè preci, nè spese ( civium precibus victus et stipendio invitatus, dice il Melegoli) affine di richiamarlo alla sua patria offerendogli oltre un largo stipendio anche il privilegio, concesso sino dàll’anno 4475 dal magnifico consiglio della città a tutti quei maestri che tenevano pubblica scuola, cioè, di essere esenti da ogni gravezza reale, personale e mista. Arresosi il nostro Gaffurio a quell’onorevole invito, s’accinse ad ispiegare le sue profonde dottrine; ed ecco già accorrono i suoi compatriotti per approfittare delle vaste sue cognizioni, già stanno intenti ed avidi di succhiare il puro latte, che stillava da queU’incorrotta e copiosa fonte, quando improvvisamente il Duca di Milano, muove loro aspra guerra, e benché eglino tutto tentino onde ritenerlo per sempre nel loro seno, ei probabilmente ad insinuazione dei suoi parenti materni, si ritira di nuovo a Lodi. Non vi stette però lungo tempo, poiché un suo amico, Romano Barni, canonico di quella città, e vicario dell’Arcivescovo di Milano, tanto seppe adoperarsi, che cedette alle sue istanze e si portò in questa, ove i canonici pieni di stima e di concetto della singolare sua abilità, capitolarmente’ radunati il dì 22 germajo del 1483, a pieni; voti lo elessero nell’età di 53 anni a cliret! tore e maestro di canto di questa insigne Metropolitana. Quali vantaggi abbia egli portato a quella ciltà, promovendo mirabilmente la musiJ c’arte coll’assidua fatica d’insegnamento di leggere e dettare nuovi e proficui precetti, gli scrittori milanesi contemporanei e posteriori, i quali in varie guise esaltano mai sempre il di lui nome. Nell’anno 1492, promulgò Gaffurio colle „ stampe di Filippo Maritegazza la sua grand’opera inttiolatal Thcor ’ca Musicar e la consacrò a Lodovico Sforza detto il Moro, in allora duca di Bari, e reggente di Milano, essendo detto nell’epistola dedicatoria, che animato dal famoso Jacopo Antiquario,(il quale prediletto da quel prìncipe ed in ogni scienza versatissimo contribuì forse più di ogni altro a promovere il buon gusto fr gli studj eletti) intrapreso avea quest’opera ad oggetto di redimere la musica dallo squallore e dall’ingiuria, tentando di emulare gli antichi scrittori, e di trattare la sua materia con chiarezza e verità, e con stile preciso e meno incolto. Codesta opera è scritta in lingua latina, poiché in quell’epoca, in cui la favella italiana lottava ancora contro i suoi difetti, i letterati di professione quasi disdegnavano, e poco atti erano in generale a maneggiarla come dovette confessarlo anche il nostro Gaffurio allorché diede alla luce il suo compendio. Il trattato stesso è diviso in cinque libri, ciascheduno de’ quali è composto di 8 capitoli. Nel primo, dopo di aver trattalo della musica e de’suoi effetti con molta erudizione d" istoria sacra e profana, passa ne’susseguenti capitoli alla divisione di essa musica, e come debba formarsene il giudizio, terminando il libro col racconto del modo con cui Pittagora trovò la proporzione delle consonanze. Nel secondo, assegnata la difiinizione della musica, indicando come si forma la voce, passa a dimostrare le sue proprietà, e diversità, gl’intervalli e loro divisioni, le consonanze e le loro proporzioni in generale, e spiega poscia cosa sia numero, e ne indica le varie divisioni, principii e progressioni. Il terzo libro tratta della quantità discreta e continua delle proporzioni in particolare, de’loro generi e del come si formino, delle tre proporzionalità, ed in fine dimostra prima, come universalmente si applichino le proporzioni alle consonanze. E negli altri due tratta in particolare come dalle proporzioni si recavano le consonanze, parla della natura e formazione delle consonanze, delle proporzioni e della natura de’tuoni, semituoni, diapente e diapason, dell’ordine delle consonanze, e così via discorrendo. Egli però si attiene per lo più alle dottrine di Boezio, di modo che Zarlino 10 chiama commentatore di qùell’autore, trattando secondo l’espressione di Burette (toni. 8, pag. 28, degli atti dell’Accademia delle iscrizioni) en homrne de métier il metodo di Guido d’Arezzo. Benché questo ed altri suoi trattati abbiano l’aspetto di cose elementari, non credasi però, che il formare un libro simile sia cosa da poco, poiché ciò non può convenire che a colui, il quale abbia presente a sé tutta l’estensione della scienza, e con molto criterio sappia rilevare il miglior modo di esporve i principj... Confessò 11 grande Eulero, che più di fatica costò a lui la sua opera elementare di Algebra che molti altri trattati più sublimi. Conciliato avendosi con quest’opera la maggior stima di quel principe, il quale al dire d’un esimio scrittore, (Roscoe nell; vita di Leone X) fece velo alla sua tirari