Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1843.djvu/15

Da Wikisource.

- 11 -

noie, le quali o sono repliche delle già prodotte, o sono talmente false in riguardo al nostro sistema musicale, che non vi si possono in niuna maniera ammettere. Certo che il signor Quadri non ha fatto a dovere l’esperienza, anzi dal contesto del suo discorso mi pare che se ne possa inferire che non l’ha punto fatta. Che che ne sia, s’egli avesse tenuto in maggior conto la scienza dell’acustica, avrebbe conosciuto che, sebbene ella sia affatto inutile per comporre della musica, è tuttavia molto atta a disvelare la ragione di alcuni punti di teoria: conciossiachè, dal sapere che una corda vibrante vibra non solo nella sua totalità, ma si divide ancora a vibrare nelle sue parti aliquote, e che il numero di queste è illimitato, avrebbe dedotto che i suoni da essa prodotti non si limitano ad essere la fondamentale, la terza e la quinta, ma si estendono a quelli che ho detto dianzi. Onde avrebbe potuto trarre molto vantaggio, estendendo la definizione dell’accordo almeno a tutti i fondamentali, rendendo una ragione plausibile del basso fondamentale assegnato agli accordi ch'ei chiama sensibili, e schivando alcuni errori che andrò notando nel decorso di questo scritto.

E per accennarne subitamente uno, avvertirò che il signor Quadri considera i tre accordi, chiamati, secondo la nomenclatura del Reicha, accordo perfetto maggiore (do-mi-sol), accordo perfetto minore (re-fa-la) e accordo diminuito (si-re-fa), siccome la radice di tutti gli altri, e come l’origine primitiva di qualunque armonica combinazione. E per dare ogni possibile prova di questa, ch’ei chiama verità, lascia all’arbitrio del suo lettore bene istrutto dell'armonia, l’esame di qualunque musicale componimento; nel quale, egli soggiunge, si vedrà costantemente che spogliandone l’armonia da tutto l’accessorio, la loro parte essenziale si riduce ai tre accordi fissati come elemento radicale di tutti gli altri, e conchiude che ciò è tanto vero, che ogni pezzo di musica rimane intatto accompagnandone la cantilena anche con essi soli, lo che non si potrebbe fare omettendoli. Per iscorgere l’erroneità di questa specie di ragionamenti, bastarmi pare, il riflettere che se per radice primitiva di una cosa si vuol intendere la base su cui essa è fondata, come, verbigrazia, le fondamenta sono la radice di un palazzo, ragionevolmente si dovrebbe dire, non che l’accordo di terza e quinta sia la radice degli accordi di settima e di nona, ma che la radice primitiva di tutti quanti gli accordi fondamentali è l’intervallo di terza. Ma attenendoci alla prova di che l’autore tenta di avvalorare la sua proposizione, chi è che non veda che spogliando l’armonia di tutto l’accessorio, gli accordi di settima e di nona rimarranno sempre? Chi ha detto al signor Quadri che gli accordi di settima e di nona sieno un accessorio in armonia? Come farà a provarlo? forse col dire che ogni pezzo di musica rimane intatto accompagnandone la cantilena coi soli accordi di terza e quinta? Se questa ragione ha qualche peso, io sostengo del pari che ogni pezzo di musica rimane intatto accompagnandone la cantilena, non con accordi, ma col solo Basso. Quindi ne emerge che assegnando a tutti gli accordi fondamentali una comune origine nella risonanza dell’arpa di eolo, o di altro corpo sonoro (tranne l’arpa comune, nella maniera da lui descritta), il sig. Quadri non sarebbe incorso nell’errore dimostrato.

Comunque siasi, dedotto l’accordo di terza e quinta nel modo che ho detto, egli prende a collocarlo sui diversi gradi della scala, e ne fa quindi nascere le tre specie enunciate di sopra. E qui tralascierò di buon grado alcune riflessioni sulla maniera onde si deduce la formazione delle tre specie di accordi, perché da un lato ella è cosa di poco momento, e dall’altro mi porterei, a grande prolissità. Mi contenterò solo di accennare che, nel definire i gradi della scala su cui ognuna di queste tre specie di accordi può aver luogo, della sola scala di modo maggiore si occupa, quasi che la scala di modo minore sia un nonnulla nella teoria degli accordi. Questo cenno debb’estendersi ancora alle lezioni che trattano di tutti gli altri accordi.

La lezione sesta verte su quegli accordi che il nostro autore chiama sensibili; cioè su tutti gli accordi di settima e di nona in cui la terza della nota fondamentale è maggiore, e la settima è minore, qualunque del resto sieno gli altri intervalli. Se si eccettua L'ommissione testé accennata, un’altra che accenneremo più tardi, un errore che mi propongo di svelare fra momenti, ed un punto che mi riservo di discutere quando sarò pervenuto alla lezione degli accordi dissonanti, questa lezione è bene svolta, e merita elogio, avvegnaché io trovi fuor di proposito l’entrare in materia di modulazione qui dove non s’era proposto di trattare se non di accordi. Ma questa è leggiera menda. Una gravissima sta in questa parola: «Finalmente adoperando la (l’accordo di) sesta alterata si deve prendere per basso la nota che fa seconda minore della nuova scala a cui si fa il passaggio». Qui l’autore si è dimenticato ch’egli stesso diceva (pag. 10): «La natura prescrive un tono intero in questo punto» (cioè fra il primo ed il secondo grado)» «della scala;» e nella ricapitolazione della pagina 13: «Nessuna di queste distanze può essere cambiata senza distruggere l’idea di scala». Se dunque, secondo i medesimi precetti dell’autore, dal primo al secondo grado dee correre necessariamente un tono intero, cioè una seconda maggiore, di quale scala intende egli parlare dove s’ha da prendere la seconda minore? Ha egli mai trovato un accordo di sesta eccedente posto sul secondo grado di una scala? forse sì, quando un tono è stabilito, non mai nell’atto di farvi passaggio. Del resto non v’ha forse, principiante (se già non è alunno del Quadri) nello studio dell’armonia, il quale non sappia che il seggio principale dell’accordo di sesta eccedente è sul sesto grado della scala di modo minore.

(Sarà continuato).

L. Rossi.




I. R. TEATRO ALLA SCALA.

Luisa Strozzi, Ballo storico composto e diretto da A. Huss.


Poiché questo ballo continua a rappresentarsi e non venne ancora surrogato da altro migliore spettacolo mimico, non crediamo sconveniente dirne anche noi qualche parola.

Il signor A. Huss ebbe forse il torto di scegliere un poco felice soggetto drammatico, ovvero ebbe la malavventura di non poter mostrare l’ardimento necessario a svolgerlo nei modi più atti per farne l’opportuno argomento di una mimica azione. E nondimeno il tragico fatto della Luisa Strozzi o com'è narrato dal Varchi, dal Segni e da altri contemporanei firentini, od anche modificato con quella libertà, che la sola pretenziosa pedanteria di alcuni dotti di storia si ostina a negare alle esigenze dell’arte, offri vasi tema opportuno a un variato contrasto di bellissimi e animatissimi quadri, ne’ quali, lasciate da un lato le lungaggini del linguaggio mimico, si venisse pingendo a rapidi tratti il carattere di un’epoca agitata dalle più calde passioni civili e politiche. Ma il signor Huss amò meglio attenersi stretto stretto ad uno scheletro di coreografica finzione e non osò invadere il vasto campo che gli stava aperto innanzi; epperò il suo ballo Luisa Strozzi ebbe quell’esito discreto che tutti sanno.

A non dubitarne il signor Huss può addurre molte scuse a sua discolpa e tra le altre la ristrettezza del tempo, che, per imprevedibili circostanze, gli fu lasciato ad ideare ed eseguire il suo lavoro.

Pur sarebbe ingiusto il non ripetere, quel che già fu detto da altri, che cioè alcune scene del nuovo saggio coreografico del sig. Huss destarono sufficente interesse, e ciò torna ad onore di lui che seppe comporle bene, e degli attori principali, la valentissima Muratori, e il degno suo collega il Catte, i quali non mancarono di interpretarle con molto sentimento artistico. Il signor Pratesi, e l'esordiente signora Mazzarelli, se non ebbero abbondantemente gli applausi del pubblico, ottennero quelli di alcuni nostri giornali teatrali: agli articoli di codesti ultimi rimandiamo coloro che bramassero ancora più particolari notizie.

Sebbene questa nostra Gazzetta per massima non si occupi di danzatori, pure trattandosi di una Taglioni, una eccezione alla regola può darci diritto ad una congratulazione. Diremo quindi che nei due passi fin’ora eseguiti ella si addimostrò quella grande maestra che fu salutata dai primi teatri d’Europa. Aspettiamo di rivederla nel ballo fantastico ch’ella ci prepara, ed ove avremo ad ammirarla anche quale attrice

mimica.

V.




CARTEGGIO.

Parigi... Li... 1843.


Eccovi fresche fresche quattro notizie che non vi riesciranno sgradite. Comincieremo dalle meno importanti per salire a quelle di maggior rilievo, e faremo cosi come i contadini nelle feste di campagna che da prima danno fuoco ai mortaretti più piccoli, poi pumf, pumf, fanno saltare i più grossi e lasciano sbalordita la turba degli spettatori.

Prima notizia: Duprez, quel bravo cantante della nostra reale Accademia di musica che s’è buscata tanta celebrità coi validi sforzi della gola, ha voluto provarsi a dar assalto al tempio della gloria anche a colpi di penna, e ci ha regalate quattro Cantilene le quali vi assicuro, sono quattro graziose composizioncine come non saprebbero farne di eguali per grazia, semplicità ed espressione, molti de’ vostri barbassori autori di Opere teatrali.

Altra notizia: Un certo signor Martin, artista meccanico ingegnosissimo, cui forse non sembra abbastanza fitta la turba de’ suonatori pianisti onde sono ingombre le nostre sale d’accademie, (tanto che a’ di nostri non v’è meschina o semistupida zitella da marito la quale o male o bene non vi pretenda strimpellare sul chiavicembalo qualche fantasia di Thalberg, di Liszt o di Döhler in modo da farvi bestemmiare il povero genio della musica che davvero non ce n’ha nè colpa nè peccato) il signor Martin, vi dicevo, s’è martellato il cervello per inventare un congegno che valga a render agevole lo studio del monarca degli stromenti, anche alle più dure ed asinine nature filarmoniche. Che cosa ha fatto il brav’uomo? Ha inventato un certo nonsochè al quale ha dato il