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con amaro sorriso satanico, e gli gelava l’ispirazione nel cuore e gli faceva tremanti e incerte le dita sulla tastiera... Quello spettro era l’immagine pretta spietata del pedantismo musicale che pareva gli susurasse sotto voce, ma con accento rauco e beffardo: «Bada che a me non importerà nulla che colle tue patetiche cantilene, co’ tuoi accenti passionati tu ottenga di commovere la moltitudine degli spettatori ed eccitarla all’entusiasmo... Io pure dovrò giudicarti, e guai se non avrai saputo addimostrarti profondo contrappuntista, se avrai messe ne’ tuoi accompagnamenti delle armonie fiacche e non complicate! Guai se mi parrà che tu abbia avuto ambizione di darti a scorgere più ispirato che non dotto!... La sentenza di incapacità e di ignoranza che io proferirò sul conto tuo ti perseguiterà inesorata, e simile al Manne-Tekel-Fares, evocato da Daniele, le parole della mia condanna turberanno la gioia delle gloriose tue cene!»
A vero dire però, e per buona fortuna di quella privilegiata specie di esseri umani, cui a buon dritto può darsi il nome di genio, lo scettro della critica pedantesca s’è ormai al tutto spezzato, e per naturai conseguenza la tanto temuta autorità dei critici pedanti è più da considerarsi uno spauracchio immaginario che reale, un fantasma, una chimera mostruosa e non altro.
A’ giorni nostri que’ dotti saccenti, i quali volessero bandire come barbare le tragedie di Shakspeare, perché sparse di errori di geografia e di storia, que’ freddi grammatici che osassero consigliare a un Torquato Tasso di rifondere il sublime suo poema per correggerlo di alcune mende di lingua e di stile, anzicchè essere ascoltati con docile e riverente orecchio si otterrebbero delle sonore fischiate. E nel mondo delle cose musicali poi è ben raro il caso in cui i poverini, vogliamo dire i critici pedanti, possano far udire la loro voce! A’ dì nostri, grazie agli effetti di un altro e tutto opposto genere di critica, la critica libera e disinvolta del senso comune e del gusto naturale, temperati da una modesta cultura, il freddo aristarchismo ha dovuto nascondere lo staffile nelle pieghe della sua toga dottorale, e se di tratto in tratto, e come alla sfuggita, si ardisce tirarlo fuori per menarlo sulle spalle a questo o a quel compositore, colpevole di aver saputo commovere la moltitudine con violazione delle strette regole della scienza, la moltitudine stessa, o, per dirla più volgarmente il pubblico si ribella alle sue condanne, e col mezzo del giornalismo intelligente e imparziale cancella i suoi nojosi editti e manda i suoi fulmini a spegnersi nell’onda dell’oblìo, al modo stesso che accade a quei di Giove, dappoiché il grande inventor della pila ha trovato il modo di farli discendere nelle pozzanghere!
B.
STUDJ BIOGRAFICI
E LE SUE OPERE
I.
Molte cose per vero furono a’ nostri dì
pubblicate intorno a Bellini. Sopravvenuti
ad un tempo, in cui la facoltà dello scrivere e specialmente in fatto di teatrali materie non è più il privilegio de’ pochi uomini dotati di senno e di dottrina, ma
l’ignobile mestiere di molti che digiuni
d’ogni letteraria ed artistica coltura presumono
parer sapienti prostituendo il sacro
officio delle lettere ad un il laudevole
commercio di lusinghe e di adulazioni, le
stampe periodiche e gli articoli de’ giornali
che di lui favellarono sono innumerevoli.. Al comparir d’ogni sua opera, così nei
grandi spettacoli delle capitali, come nei
più modesti delle provincie. tanto fu il
dire e il disdire, tanto il giudicare e il pregiudicare,
tanto lo stampare e ristampare
di apologie e di censure, di deificazioni
e di condanne, che chi tutte s’accingesse a
raccoglierle comporrebbe presso che una
biblioteca.
Per quanto è a cognizion nostra nondimeno niuno scritto è apparso in Italia in cui, con una sicura e particolarizzata narrazione delle vicende che formarono il breve tessuto della sua vita, si venisse mostrando il vero genio, l’indole, il carattere delle sue creazioni, le quali, come sempre i fruiti degl’ingegni eminenti, comunicarono al mondo un sì efficace movimento, e stamparono negli animi un’orma sì profonda che, sebbene in picciol numero, bastarono a permutare il gusto, il criterio, il sentimento musicale d’un’intera nazione, e quasi, può dirsi, di molte fra le nazioni alla musica educate.
All’epoca che movendo le lagrime d’ogni anima gentile, nel più bel punto del suo glorioso cammino, nuovo Raffaello venne a nascondersi agli avvenimenti di questo basso pellegrinaggio, non v’ebbe giornale italiano, non foglio di Francia, d’Inghilterra e di Germania che non annunciasse la troppo acerba sua perdita col dare alcun sunto della sua mortale carriera. Ma quelle scritture furori per la più parte effimere apparizioni, di cui perdevasi la ricordanza col perdersi del foglio su cui stavano stampate, e non lasciavano che lievi e pochissime impressioni nella mente del lettore, per il modo troppo fuggevole e superficiale con cui venivano trattate, e perchè non eran le più volte che semplici compendj di fatti senza storica verità raccontati, e spesso unicamente fondali o su quel tanto di vaglie notizie che ogni scrittore era pervenuto a radunarne, o su quel tanto di vero e di falso che ne sembrava a ciascun narratore secondo l’opinion sua individuale (1).
L’opera che noi vorremmo compiuta rimane intatta tuttavia:, epperò, mentre ci teniamo in isperanza che alcuno voglia di proposito darsi ad un’intrapresa che con accorgimento ed accuratezza condotta provvederà alla fama ben meritata d’uno dei più chiari intelletti musicali italiani, e recherà in un tempo giovamento grandissimo all’arte per l’utile insegnamento che ne ridonderà a chi si proponesse imitarlo, nello spazio determinato delle nostre colonne noi farem di dirne alcuna cosa, e rendere minore questo vuoto, togliendo a compagni i migliori degli scritti che hanno di lui ragionato, tra i quali ricorderemo particolarmente un articolo di Pietro Beltrame, che fa parte delle Biografie degli Italiani illustri a Venezia pubblicate coi tipi dell’Alvisopoli, l’articolo del sig. Fétis inserto nella sua gran Biographie universelle des musiciens, ed un discorso stato recitalo dal professore Mario Musumeci nella sala comunale di Catania in occasione che Bellini tornò a rivedere il suo paese. Ciò noi faremo allo scopo d’una moltitudine di lettori d’un argomento che per la sua attualità ha in Italia una moltitudine di simpatie, ed all’intento di rettificar quelle imperfezioni che nell’uno e nell’altro dei suddetti articoli biografici ci verrà dato di poter comprovare dietro quelle positive notizie che siam pervenuti a procurarci volgendoci a persone di fede degnissime che molto davvicino conobbero ed osservarono la vita di lui, ed ebbero campo di penetrare ne’ segreti del suo spirito.
Fin da questo punto del resto vogliam dire che non è da compararsi il breve articolo del professore di Bxusselles colla narrazione del sig. Beltrame, come quella che, oltre all’essere assai più diffusa e ricca di particolari, ad ogni tratto si mostra con assai maggiore fedeltà elaborata e dettata da quel sentimento coscienzioso ed imparziale, che debbe essere prima ed unica guida dello storico. E troppo manifesto che il sig. Fétis, o per contraggenio che avesse al modo di compone di Bellini, o per poco studio che avesse fatto de’ suoi lavori, dettò quegl’imperfetti suoi cenni colla mira d’impiccolire il merito dell’italiano maestro. E poiché il suo libro come lavoro d’uomo nella musicale erudizione versatissimo, non senza ragione gode di bella rinomanza ed è piuttosto sparso ne’ varj popoli d’Europa, così amiamo che il vero sia posto in luce onde impedire e distruggere se ci fia possibile le fallaci credenze che potrebbero radicarsi, e rivendicare così l’onore di un valente italiano che ha sì ben meritato dalla patria sua.
II.
Bellini nacque in Catania, città sedente
alle falde dell’Etna, del cui foco parea
avesse nell’anima una particolare scintilla.
Catania va nelle storie celebrata per uomini
famosi in tutte le arti e in tutte le
scienze; ma sembra che nella musica soprattutto
fin da remotissimi secoli prevalesse;
perchè tuttora, come dice il professore
Musumeci, mostra al mondo dotto gli irrefragabili monumenti di sua antica scuola di musica in quei superbi avanzi dell’Odeo, al cui confronto restano assai al di sotto gli esistenti ruderi di quello della stessa Atene. E pare che in eredità i figli di
Sicilia ritraggano da natura il genio musicale,
poiché appartenne alle falde dell’Etna
anche quel Tirsi, che inventore del verso
bucolico, venne scelto da Teocrito a dar
nome al suo primo iddio; e non altronde
che di Catania derivò quell'Androne, a
cui i principj della musicale monografia
furon dall’antichità attribuiti; nè altrimenti
che siciliano fu il mimografo Sofrone, le
cui opere sì grandemente deliziavano quel
sovrumano intelletto di Platone che sempre
tenendole secolui, ne fece tesoro sino
al letto di morte. Dell’eccellenza dell’antica
musica teatrale siciliana nessun argomento
in vero può fornirsi migliore di
questo, e noi così di passaggio volentieri
veniam ravvivandone la memoria affinchè
non solo a Bellini, ma egualmente alla patria
sua abbia a riverberarne quel lustro
che le è devoluto.
Sortì Vincenzo i natali da Rosario Bellini e da Agata Ferlito il dì tre di novembre dell'anno mila ottocento due (2). Suo padre, a cui la natura avea destinata una numerosa figliolanza, erasi predisposto a formar di Bellini un maestro di conti (3); ma il nonno don Vincenzo, che assai distintamente soprattendeva alle principali cappelle della città, avendo scòrta in lui la favilla dell’ingegno tolse ad educarlo