Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1843.djvu/182

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non essere resa sì triviale sulle scene. Che dirà la nostra tanto vantata educazione domestica, quando vegga in teatro certi spettacoli che in famiglia si sogliono tener segreti? La figliuolanza nostra non è spartana per contemplare Con indifferenza quanto si espone troppo chiaro e nudo agli sguardi suoi. L’intreccio più opportuno ed istruttivo non sarebbe quello in cui l’uomo vince tulli gli- ostacoli che gli attraversano il bene, o lutti gl’incentivi al male? Sia questo come il disegno generale d ogni dramma, al quale; diversi nodi che si acconcino poi gliamo intrecciare. La società medesima che ce gli somministrerà naturalmente avrà di che specchiarsi e correggersi nella giusta ed assennata riproduzione de’ suoi avvenimenti. La maggiore difficolta è il sapergli ordire, e condurre con quella verosimiglianza e grazia, che danno si raro pregio a siffatti lavori, tanto più nel melodramma, dove la musica arrischia sovente colle sue cantilene inopportune di sciogliere quasi tutto l’incanto del verosimile, intorno alla qual cosa, esteticamente parlando, vi sarebbero molte osservazioni a fare. Ma quando il soggetto, e l’intreccio poco insegnassero rimarrebbe ancora la catastrofe. In omnibus vèspice Jinem; perchè egli può accadere, che il poeta o per elezione, o per ignoranza, o per necessità siasi addossato un argomento poco sano, e sia stato inoltre poco felice nell’orditura•, allora una soluzione elegante, piena di qualche grande verità, intesa a risolvere un problema sociale può acconciare i fatti suoi. Il lieto fine imposto a Metastasio e suoi seguaci, dopo l’infausto esito della morte di Catone, parve ai giocondi del secolo passato più acconcio al melodramma, che si volle distinto dalla tragedia. Veramente un fine avventurato debbe sempre meglio simboleggiare il termine delle umane vicende per tristi che sieno nel loro principio o processo-, d’altra parte egli è un piacere uscir dal teatro allegri. Ma il secol nostro non raccomanda più questo scioglimento felice, rassegnato anche alla teatrale mestizia, contento perfino ai disgusti che gli vengono dalla poesia e dalla musica. Quale diversità tra secolo e secolo! Ma lasciando da parte i varj gusti, la regola più sicura che potrebbesi dare intorno alle conclusioni drammatiche, è che il delitto finisca male, e la virtù bene, in ordine sempre al soggetto e l’intreccio che abbiamo prescelto. Quando però è richiesto per l’effetto morale il cattivo fine, non è punto necessario che il palco si trasformi in un campo di sangue, di supplizj, in un cimitero. Peggio ancora quando sul fine arrivano ombre, o diavoli a trascinar via per forza i delinquenti.Tutto questo non insegna niente, non eccita buon sentimento, non risveglia che orrore. Il miglior modo, degno veramente dell’opera in musica è, che il malvagio sia punito così, che conosca il male, se ne penta, e cominci una vita d’espiazione. Questa catastrofe, consuonando di più colfumana natura, e colle idee religiose sembra a me che insegni molto più che qualunque altra. Tutte queste cose dette intorno all’istruzione drammatica, sebbene sieno applicabili ad ogni scenico lavoro, pajoumi più acconcie al melodramma, dove il poeta dovendo appena arrestarsi ai tratti più spori genti d’un’azione per lasciare al maestro l’ultima mano del lavorio, potrà meglio badare alla parte morale ed istruttiva. La brevità del libretto per la gravità e convenienza delle cose che vi si tratteranno può acquistare col tempo molto maggior pregio che non ha: e se la riforma teatrale, ordinala ai bisogni nostri, cominciasse da questi dispregiati libretti, sarebbe una gloria di più per l’arte avviata non tanto a perfezionare sè stesso che gli altri. Bisliarti CARTEGGIO Firenze 1 Ottobre. 1845. Domenica 24 del corrente settembre elitre luogo una delle solite accademie nella sala della Società Filarmonica. Non è mio disegno dar minuto conto di questo musicale trattenimento; non starò dunque a parlare della Ovcrlura del Don Pasquale di Donizctli, clic dalla numerosa e scelta orchestra fu eseguita, se forse con troppa precipitazione di movimenti c non bastante esattezza, però con mollo slancio, vigore c forza. Delle quali ultime qualità, a dir vero, non difetta quell’orchestra; che anzi sotto questo rapporto pecca spesso di eccesso; ed in questa stessa accademia fornì di ciò una prova la Romanza per basso nella Maria di Rudcnz, ben cantata dal dilettante Cav. Ippoliti, ma male accompagnala, appunto perchè suonata forte da un capo all’altro. Nè mi starò pure ad intrattenere sul brillante ed ormai notissimo Coro dei bevitori nell’Opera II Conte Orydel celebre Rossini, clic lutto insieme fu’ eseguilo plausibilmente. Intendo però fermarmi.alquanto sopra un componimento, l’esecuzione del quale riempi tutta la seconda parte dell’accademia, e che, sia pel non scarso merito musicale clic vi si riscontra, sia per la novità del concetto, sia per l’insolito sfoggio di mezzi di esecuzione clic richiese, sia, infine, per esser opera di un giovane di non comuni speranze nell’arte, merita in una pubblicazione della natura dalla presente, l’onore almeno di un cenno. E dissi di un cenno, perchè trattandosi di composizione moltissimo elaborata ed assai lunga, arduo sarebbe, se non piuttosto impossibile, tesserne un esteso e critico articolo dietro una sola c fugace udizione; tanto più chela esecuzione, se in genere fu degna di lode, non fu però neppure scevra d’imperfezioni. Ora, perchè s’intenda in clic consisteva la composizione di cui parlo, lascerò accennarne il subbiclto, non clic i nomi degli esecutori, dal programma dcll’accademia, clic in questa parte era così concepito: a Maglioni (Giovacclnno) Concerto per quattro Pianoforti a sedici mani, con orchestra; Quartetto vocale e Coro, sopraJj inluonnzionc ecclesiastica del quinto Tuono; concertato per il vocale dalle signore Maria Turchini, Arianna Ferrini e dai signori Olimpo Muriolli e Cav. Giuseppe Ippoliti, c per Io stromentalc dai signori maestri Mariano Maglioni, Alessandro magi, Enrico Manetti, Vincenzo Taruffi, lìaldassare del Hianco, Ermanno Picchi, Carlo Romani) c Carlo Fortini. a La composizione portava ad epigrafe le parole, u In cyinbalis bene sonanlibus laudate Deum; e la parte vocale a subbiclto la traduzione dettala dal Iìorgìii del davidico Salmo, da cui quelle parole son tratte. Ognuno di leggieri può comprendere quanta difficoltà vi fosse a superare nel condurre una ben lunga composizione; tulli o quasi tutti i motivi traendone da una sola limitata mtuonazionc ecclesiastica, in modo da schivare con bella varietà di effetti una funesta monotonia. Nè meno difficile era lo evitare la confusione- che quasi indispensabilmente pareva dovesse nascere dall’impiego variato di quattro stromcnti di voce consimile, di mezzi czuali. di complicato meccanismo, quali sono quattro pianoforti, ognuno dei quali suonato a quattro mani. E ad onore del vero convicn dire clic queste difficoltà furono assai ben superate dal giovine compositore, nell’opera del quale molti pezzi si notano di studiata e complicata fattura, e pure di buono effetto. Tali sono la bella introduzione, una bene intrecciata, libera fuga, c varj altri pezzi che mi duole la memoria non mi permétta più particolarmente indicare. Ed altri ostacoli sorgevan pure a vincere, nel procurare clic brillassero bastantementei pianoforti, senza che poi l’accompagnamento dcll’òrchcslra restasse meschino di soverchio, o troppo sagrificato il canto di fronte allo stromentalc; difetti clic avrebber tolto ai pianoforti il carattere di protagonisti, alla composizione quello di concerto. Ed anche queste difficoltà furon vinte dal Maglioni, ad eccezione che nell’ultimo tempo o finale, dove il canto riesci un troppo ozioso riempimento. Checché possa dirsi intorno ad alcune modulazioni ed armonie serrale soverchiamente; ad alcune frasi c cadenze che non hanno un bastante sviluppo: checché possa pur anche dubitarsi intorno alla congruità del concetto generale della composizione, è però v concetto stesso, del pari che il modo ad esecuzione, rivelano nell’autore cogni avanzata del tecnicismo musicale, mente. sentire ed un laudabile studio di aprirsi nell-arte, nè dagli altri artisti battute c battute. L. F. ù Milano li 7 ottobre 1843 Tutto c orna ad onore e gloria dell’italiana felici cultori, sembrami degnissimo subbiclto da farsene menzione nell’acclamato suo foglio, originato dal santo amor di patria d’incoraggiar l’arte c gli artisti mercè le debite oneste critiche, e difendendo si l’una che gli altri dalle imputazioni straniere che per avventura dettate fossero dalla malignità, anziché da filosofica.e giudiziosa critica. - Francesco Basily, nome troppo caro all’Italia c all’arte, sdegnando le inutili brighe, c i vani parlari, eoi quali nel difender sè stessi perdono molti miseramente il tempo, c l’estimazione pubblica, lesse or sono alcuni mesi sopra un estero foglio clic la vera musica da Chiesa è presso che giunta a totale rovina in Italia, di modo che a mala pena si rinviene fra noi chi sappia vergare note condegne della santità del tempio. Volle l’Egregio rivendicare l’onore della patria ed il suo, ma si propose farlo in guisa non sconvenevole alla nobiltà del suo cuore, alla sagacità del suo spirito, ed a quella sua squisita gentilezza di modi, che tanto lo rendono pregevole c caro a chi ha il bene di conoscerlo personalmente. E fatto un prezioso fardcllclto di alcune sue recentissime composizioni ecclesiastiche, queste inviava alla R. Accademia di belle arti di Berlino, c quegli ottimi ed imparzialissimi giudici ne attestarono al Basily il loro gradimento nella lettera che ini compiaccio ili trascrivere per intiero: llluslriss. signore L’accademia ha ricevuto con grandissimo suo piacere la stimatissima sua del 20 giugno insieme colle egregie composizioni sacre, nelle quali la sezione musicale dell’Accademia ha riconosciuto con sincera ammirazione tutta l’eccellenza e la severità dello stile sacro di queirantica scuola d’Italia. Fu appunto questa la cagione che l’Accademia elesse V. S. ad essere ricevuta fra i suoi membri ordinarj esteri, clic credeva vedere in essa lei il degno successore di tanti maestri, e quasi il rappresentante dello stile antico. La stessa persuasione fu espressa in una lettera che l’accademia diresse a V. S. nel mese di febbraio di quest’anno in risposta alla sua graziosissima del 18 dicembre 1842. Berlino 13 settembre 1843 L’Accademia Reale delle Mìe Arti Tocco il Basily dalle acerbe ed ingiuste accuse, non parlò in propria difesa, ma creò nuove stupende composizioni e disse, benché tacitamente, in modo solenne: u Ecco che cosa si sa fare in Italia, vedete, esaminate c poi siate voi medesimi i giudici. Condotta tale è cotesta che se ci rende sempre più meravigliati dell’ingegnò dell’illustre italiano c della nobiltà de’ suoi modi, ci fa goder altresì l’animo, elio questo luminare d’armoniche dottrine abbia pur dato in tale circostanza un esempio agli artisti,’ del modo da rivendicare il loro decoro senza prostituir sè stessi, ed invilire l’arte divina con pazze polemiche, o sozze contumelie. Alessandro Carcano. Parigi, il 1 ottobre. In questa mia io non vi parlerò di avvenimenti musicali, c per un eccellente motivo - le novità mi mancano; la Grand’Opérà c l’Opéra-coiniquc replicano c riproducono, mentre attendono che il pubblico ritorni dalle illcggiaturc e dai castelli perduti in riva di qualche fiume; il teatro italiano non si riaprirà che dopo domani; non vi è la più piccola accademia, il concerto più microscopico; insomma la bell’arte delle crome è in uno stato di riposo pressoché completo, ed è quindi inaccessibile all’onore di essere l’argomento d’unn lettera, destinata ad appagar voi, il più formidabile dilettante di curiosità ch’io mi conosca. - Rinunzinmo dunque alla musica e parliamo di drammi. L’Odèon fu riaperto, giovedì 28 settembre, c questa solennità attrasse un pubblico numeroso e di scelta, che era ansioso (li conoscere in qual modo questo teatro sarebbe per corrispóndere alla confidenza ed alla simpatia della Camera dei Deputati, manifestata nel modo più commovente, coll’applicazione cioè d’una sovvenzione di 60,000 franchi. Giunta l’ora prefissa pel eominciamcnto dello spettacolo, si presentò sulla scena l’artista Monrose, una delle creature di adozione del