Pagina:Gazzetta Musicale di Milano, 1844.djvu/27

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NII*’PIGMENTO AL N. «— :

numero e prevalsero anche in fatti. La Diritta a modo (Fesempio trovava che il giovine maestro conosceva bene le risorse deifi istrumentale. attinto alla grande scuola di Merendante; la Sinistra asseriva che il canto ne restava in conseguenza trascurato, senza sviluppo e senza larghezza. La Diritta riscontrava l’impronta drammatica del libretto resa in musica con acume ed assai buon senso; la Sinistra invece giudicava che lo stile troppo recitativo della musica toglieva la quadratura di ritmo e di periodo. Infine;, per abbreviare questo non tenue contrasto di opinioni, la Diritta travedeva nel signor Petrali un giovine che dava, sì dal lato drammatico clic da quello del contrappunto, belle speranze per i suoi futuri lavori mentre la Sinistra nulla voleva accordare e votava inesorabilmente per il no. Però, per terminare con un po’ di dolce, ne giova avvertire che la Diritta ebbe campo di sostenere ed applaudire la composizione in più riprese, talché il compositore ebbe plausi dopo l’introduzione, (lupo 1 Aria del Tenore, dopo il primo finale, ed in altri pezzi: e se la nostra prima impressione non c inganna, ne pare che gli amici del maestro potevano farsi forti anche di qualche altro brano, come sarebbe il Largo della Sinfonia, ed il Coro che chiude la prima parte, i (piali passarono inosservati. Noi pure amiamo tenere e teniamo dalla parte degli amici e de sostenitori del Maestro, avendo veduto come assai di sovente l’esito de*primi esperimenti inganni sulla ventura carriera d’un artista e sul grado di sviluppo cui può andar soggetto un talento. Abbiamo di ciò migliaia d’esempj, e recentissimi. In un primo lavoro non dovrebbesi veramente tener conto se non di quello che vi ha di buono. Le parti delia De-Ginli e di Ferretti sono troppo alte pei loro mezzi; quella della prima straordinariamente. È impossibile che la voce non ne soffra e molto. Non cesseremo mai di ribattere su questo punto; troppo ne preme e per farle e per gli artisti medesimi, i quali forza è che soccombano o tosto o tardi vittime di così immane sforzo. La signora De-Giuli ed il signor Ferretti ne terranno per iscusati se in gran parte facciamo ricadere su loro questa colpa. Essi hanno bel risponderci «il Maestro ha scritto così ed ha voluto così o: il Maestro, noi lo sappiamo, è un’eccellente e ragionevolissima persona e non si è presentato ai zelanti suoi artisti nè col voglio nè coll "esigo, ma bensì colle più educate ed amabili maniere; dimodoché toccava a voi, o signori, a porgli sptt’occhio 1 impossibilità di cantare (intendiamoci bene cantare non gridare) le vostre parli. Ritengo che se il compositore avesse obbligato i suoi cantanti ad eseguire uno la parte del flauto, l’altro quella dell’oficleide, avrebbe avuto un bell obbligarli; essi sarebbersi rifiutati: non altrimenti si doveva far anche riguardo alle due parli in questione. E una vera carnificina che si fa delle vostre magnifiche voci e de’vostri distinti talenti. Finita l’apostrofe, vuoisi notare per amore di verità che l’esecuzione fu accurata per parte di tutti. La De-Giuli animatissima e ben compresa dello spirilo della sua parte. Ferretti, ogniqualvolta la tessitura della musica gli permetteva di cantare, cantò bene, i e ne ricordò il possente Ferretti della Favorita. Ferletti non trovò largo cam! po nella sua parte alquanto monotona a I far risaltare i pregi del suo bel metodo: ma, se non lo ss’altro, il modo col quale espresse il primo suo recitativo, che è anche di buona composizione musicale, lo qualificherebbe intelligentissimo artista. Il libretto. tratto dalla Sofonisba del Trissino o del!’Alfieri, o se meglio vi piace da Tito Livio, è condotto con una certa regolarità: ma 1 azione non ha una tela sufficientemente vasta: corre lenta perciò, e genera in conseguenza alquanto di monotonia e di stento. Alberto Ulazzucato. DOCUMENTI ISTORICI Dedicatoria a Giovanni De Bardi, de conti di Femio, della Euridice del Rimiccini posta in musica da Giulio Cacciai detto Giulio*fiumano (Firenze presso Giorgio Jlarescotti, 1600). (Vedi i fogli N. 44, 4(Fc 50, anno 1845 e N. 1, 48-44-). Avendo io composto in musica in stile rappresentativo la favola d’Euridice e fallala stampare, mi è parso parte di mio debito dedicarla a V. S. Illustrissima, alla (piale io son sempre stato parlicolar servitore, ed a cui mi trovo infinitamente obbligato. In essa ella riconoscerà quello stile usato da me altre volte molti anni sono, come sa V. S. Illustrissima nell’Egloga del Sanazzaro - lien all’ombra degli ameni faggi - ed in altri mici madrigali di (pici tempi - Perfidissimo volto - Vedrò il mio sol - Dovrò dunque j morir - e simili. E questa è quella maniera altresì la quale, negli anni che fioriva la camerata sua in Firenze, discorrendo Ella diceva, insieme con molli altri nobili virtuosi, essere stata usata dagli antichi greci nel rappresentare le loro tragedie ed altre favole adoperando il canto. Reggasi adempie E armonia delle parti che j recitano nella presente Euridice sopra un basso eon; tinovato, nel quale ho io segnato le quarte, seste, e: settime, terze maggiori, e minori più necessarie, rimettendo nel rimanente Io adattar le parli di mezzo a’loro luoghi nel giudizio c nell’arte di chi suona, avendo legato alcune volte le corde del basso affinchè nel trapassare delle molle dissonanze ch’entro vi sono, non si ripercuota la corda c l’udito ne venga offeso. Nella qual maniera di canto ho io usato una certa sprezzatura che io ho stimato che abbia del nobile, parendomi con essa di essermi appressalo quel più alla naturai favella. Nè ho ancora fuggito il riscontro delle due ottave e due (pùnte, (piando due soprani j cantando con I’ altre parli di mezzo fanno passaggi, pensando perciò con la vaghezza e novità loro maggiormente di dilettare, e massimamente poiché senza essi passaggi tulle le parli sono senza tali errori, lo era stalo di parere, con l’occasione presente, di fare un discorso ai lettori del nobil modo di cantare al mio giudizio il migliore, col (piale altresì potesse esercitarsi, con alcune curiosità appartenenti ad esso, e con la nuova maniera de’ passaggi c raddoppiate inveni tali da me, i quali ora adopra cantando le opere mio,! già è molto tempo, Vittoria Archilei cantatrice di quella eccellenza che mostra il grido della sua fama. Dìa perchè non è parso al presente ad alcuni miei amici, ai quali non posso nè devo mancare, far questo, mi sono perciò riserbato ad altra occasione, riportando io per ora questa sola soddisfazione di essere stalo il primo a dare alle stampe sfinii sorta di canti, e lo siile | e la maniera di essi, la quale si vede per tulle le altre mie musiche composte da me più di quindici • anni sono in diversi tempi, non avendo mai nelle! musiche usalo alti-’ arte che la imitazione dei scnlii menti delle parole, toccando quelle corde più o meno affettuose le quali ho giudicalo più convenirsi per quella grazia che si ricerca per ben cantare. La. qual grazia c modo di canto molle volle mi ha testificato essere stala costà in Roma accettala per buona universalmente. V. S, illustrissima, la (piale prego intanto ad avere in grado l’alfetlo della mia buona volontà, cd a conservarmi la sua protezione, sotto il (piale ‘ scudo spererò sempre potermi ricoverare ed esser difeso dai pericoli che sogliono soprastare alle cose non più usate, sapendo che ella potrà sempre far fede non essere state discare le cose mie a principe grande, il quale avendo l’occasione di esperimentar tutte le buone arti, giudicare ottimamente ne può - con il che baciando la mano a V. S. Illustrissima: prego nostro Signore la faccia felice. Di Firenze li 20 dicembre 4000. Giulio Cacciai. fa imite e Considerazioni. Ad effettuare il suo divisamente circa il discorrere, del nobil modo di cantare, pubblicava il Cacciai nel 4001, per mezzo dello stesso editore Marescotti, una collezione di arie in varie, epoche da lui composte unendoci sid fine alcuni cori, tra i (piali quello finale del Rapimento di Cefalo. E primieramente per mezzo di un lungo proemio ne avverte avere egli operato una completa riforma nella maniera di cantare, togliendo l’uso o moderando le forme di alcuni passaggi che già si costumavano, più propri per gli stromenti di fiato e di corde che per le voci, soslitucndovene altri meglio adattati alla natura della voce umana. Fu bensì sua opinione non esser necessario al bel canto l’uso di tali passaggi o vocalizzi, ma venir quelli piuttosto adoperali per procurare una certa titillazione all’orecchio di chi menu comprende cosa sia il cantare con affetto. Da questo scritto corredato di analoghi esempi si putì oggi rilevare (piai si fosse il grado di perfezionamento a cui (‘rasi allora portala in Italia l’arte del canto, della (piale se ne espongo» quivi le teorie, e minutamente, si dimostra ogni maniera di impostare, portare, rinforzare e ritirar la voce, ed ogni altra foggia di ornamento, cioè appoggiature, gruppetti, trilli e cose, simili. I quali artifizi cd ornamenti volea l’autore applicali ai vari casi in maniera nobile, che dietro i suoi precetti ci dice consistere nelle convenienti emanicipazioni da una regolare ed ordinata misura del tempo - facendo molte volle il valor delle note la metà ’meno, secondo i concetti delle parole, onde ne nasce quel canto poi in sprezzatura ecc. ecc. - Nel far nuovamente onorata menzione della camerata di (invaimi Bardi, ove non solo concorreva gran parte della nobiltà, ma ancora i primi musici, ed i più ingegnosi poeti e filosofi, dice il nostro Caccini aver più imparalo della sua professione in questi dotti colloqui, che non in trent’anni di studio del contrappunto. Ed in vero l’opera maggiore di (pici degni italiani è da considerarsi quella di aver rintraccialo le estetiche leggi musicali e promosso in quell’arte una sentimentale espressione ignota fino allora, la quale però attinger non potessi direttamente alle fonti delle greche melodie di cui appena un qualche frammento ne restava, (piasi indecifrabile per la imperfetta cognizione dei segni con che la musica anticamente si scrivca. E se pur anche, immensa copia di antichi canti greci si fosse posseduto, e giunti si fosse alla loro esatta interpetrazione, certamente non avrebber quelli potuto offrire valido modello ai compositori di musica di quell’epoca, giacché oltre Tessersi affatto perduta quella parte tradizionale che caratterizza ed anima la esecuzione della musica, le combinazioni di suoni adattate ad altri linguaggi, concepite con altre idee, con altri costumi, con allre affezioni non poleano in veruna maniera essere idonee ad interessar lo spirito e commuovere il core di generazioni di duemila anni posteriori. Perciò dunque se due secoli di profondi stridii sugli antichi classici scrittori della Grecia c di Roma svilupparono una nuova creazione tuli’affatto italiana, nella musica soltanto ella è da riconoscersi, e di ciò se ne debbe grado agli artisti, giacché e nella filosofia, c nella poetica, c nella letteratura, in generale, il troppo amore per T erudizione e T appassionalo gusto per il bello antico fece trascurar le impressioni caratteristiche, lo spirilo ed i bisogni dell’epoca, e così per lungo tempo rimase priva T Italia di originali produzioni e di una nazionalità letteraria. Nel 1G14, poco tempo avanti la sua morte, il Caccini mosso, confici dice, dal veder l’universale aggradimento della sua maniera di cantar solo, dava alle stampe un’altra collezione di arie da lui composte, la (piale in