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10 GAZZETTA MUSICALE DI MILANO

reo di questo libretto invocò venia fin dal 1837, e non lo ottenne allora e non lo ottenne poi, e non ha diritto ad ottenerla nemmeno oggi, perchè disgraziatamente, in fatto di crimini letterarii, se non sopraggiunge la dimenticanza, trentacinque anni di purgatorio non bastano a guadagnare l’indulgenza. Ora se Mercadante fu mal servito da Rossi, certo Rossi non fu meglio servito da Mercadante — il quale si vendicò del suo librettista contendendogli colla vitalità della musica la pace del sepolcro. Veniamo all’esecuzione. Metto innanzi a tutti la signora Barbara Marchisio, contralto, che ha molta riputazione e meriti non minori. — Certo il personaggio di Bianca non poteva avere interprete migliore; una voce sonora, vigorosa, estesissima, a cui l’arte dà la forza e l’impeto della passione, il sospiro della donna, e i gorgheggi della sirena, senza fatica, senza inciampi, e oltre a ciò una valentia scenica poco comune, fanno della signora Marchisio un contralto fenomenale. Tutta la sua parte fu un trionfo. La Potentini ( Elaìsa ) ha bella voce, d’un timbro chiaro e canta con sicurezza di tono, con grazia e con sentimento: le fa un po’ difetto la vigoria drammatica, e tra per la naturale esitazione del primo cimento alla Scala, tra per il confronto d’una voce di natura così differente qual è quella della Marchisio, parve a volte debole per la vastità del teatro: nondimeno le furono fatte gentili accoglienze, e non è lieve vanto, perchè la giurisprudenza del pubblico della Scala ignora il codice della galanteria. Del Fancelli non posso dire che bene. Canti nelle opere di Verdi o in quelle di Mercadante, la sua voce è sempre la stessa; a me basterebbe la sua voce di flauto, per farmi dimenticare il mio mestiere di critico. Ma egli ha anche una dote che i flauti non hanno se non in bocca di chi sappia suonarli bene, vale a dire la flessibilità, l’arrendevolezza soave e delicata a tutte le finezze del sentimento. Ora, quanti non sono, nella classe dei tenori e i flauti mal suonati? Il pubblico che accoglie con feste sempre maggiori il Fancelli sembra essere della mia opinione. Il Giuramento ei ha fatto fare la conoscenza del baritono d’Antoni, una grata conoscenza; ha bella voce e canta bene e con anima, e meritò più volte gli applausi. Le seconde parti, i cori e l’orchestra andarono benissimo; nell’insieme è uno spettacolo a cui, con tutta la buona volontà di questo mondo, non si potranno fare molti rimproveri. Bellissime le scene del Magnani; una in ispecie fu molto applaudita e meritamente, checché se ne voglia dire. Le disgraziate Figlie di Chèope continuano ad apparire sul palco scenico della Scala, aspettando melanconicamente d’essere sostituite dal ballo Velleda di Rota, che verrà riprodotto dal Bini. Il coreografo Monplaisir ebbe per altro nelle rappresentazioni successive la fortuna d’un’esecuzione migliorata, il che rese più sopportabile la povertà di questo lavoro coreografico; perfino alcune danze ebbero accoglienze migliori, e parvero non prive d’effetto; ciò fa supporre che se alla prima rappresentazione non fosse andato tutto alla carlona, la caduta sarebbe stata meno brutale e forse non irrimediabile. Anche la Francesca da Rimini del maestro Marcarini al Carcano ebbe sorti più liete dopo la prima rappresentazione, a cui ne succedettero parecchie. Ora lo stesso teatro annunzia il Fallo in maschera per martedì. La Canobbiana non pensa ancora a preparare il secondo ballo tanto si compiace della fortuna del primo; il Milanese ha tentato un’altra volta l’indulgenza del pubblico colla rivista Ghe n’è per luce, e Santa Radegpnda ha imbandito ai suoi devoti un’altra delle solite ghiottonerie col titolo veramente appetitoso: Gli Antropofaghi, l’esito fu buono. Infine il Re (vecchio) ha dato con poca fortuna una novità di Marenco: Raffaello Sanzio e un’altra di Muratori: Sogni d’ambizione. h p “ corrispondente» Vuol dire un tale che non scrive niente?! «Ed eccomi qui invece a scrivere, a dar di bugiardo al poeta e a richiamarmi con voi delle scudisciate che m’avete menato sul viso senza nemmen dire: bada, che te le dò! — A dare si fa presto e, per verità, si fa anco più presto a ricevere; ma poi domando, e la ragione? — e la giustizia? Un tempo mi si diceva (e deve avermelo detto più di una volta anche la vostra Gazzetta) ch’io era una pessima linguaccia, un botolo ringhioso e stizzoso che s’avventava alle calcagna di tutti, un attaccabrighe della peggior razza. E ora, a sentir voi, mi son fatto nè più nè meno che un panegirista!! Non è, badiamo, che la mi scotti tanto; — quando mai, avrei cambiato in bene. Ma è che la mi riesce nuova e inaspettatissima; nuova e inaspettatissima sopratutto per questo: che il santo e i santini a cui avrei cantato la gloria, s’ostinano dalla parte loro a picchiare e a ripicchiare che sono una linguaccia, un botolo, un accattabrighe — ■ da capo, come sopra. Ora, chi mi trova il bandolo di codesta matassa? — Sarà, vo’pensando talvolta fra me per spiegarmi la cosa in qualche modo, sarà che cantando quella gloria avrò stonato come un dilettante di violino; e quindi, secondo ragione, le fischiate della destra e quelle della sinistra e quelle del centro — e tutta la bufera. Ma poi (qui ti voglio) come convincermi d’aver potuto stonar tanto? Chi mi assicura che, invece, non fossero stonate le orecchie de’miei uditori, più o meno discreti e umani? Tutto può darsi a questo mondo, mi diceva un giorno per confortarsi, l’autore di un libro crudelmente bistrattato dalla critica: tanto può darsi, cioè, ch’io non sappia scrivere, quanto che la critica non sappia leggere o alla men trista, che non voglia saper leggere. E con questo mi conforto un po’ aneli’ io. — E andiamo innanzi Io wagnerista?!... Alto là, qui m’impunto come una mula genovese e per far che facciate non riuscirete a smuovermi davvero. Prima di dirmi o di portar in pace che altri mi dica wagne* rista, c’è a ire di molto e aspetto di molte cose. Aspetto innanzi tutto che del Wagner mi piacciano due o tre altre opere; e aspetto per questo di udirle e di vederle rappresentare; perchè proprio non credo possibile il farsene un giusto e compiuto concetto, leggendole nelle riduzioni per pianoforte e canto. So benissimo che alcuni la pensano diversamente; ma io mantengo che il voler giudicare le opere a quel modo, gli è il medesimo che voler giudicare un poema da una traduzione in prosa, che voler giudicare un dipinto da un disegno a contorno. — Delle tante cose che aspetto, questa è una. Poi aspetto che il Wagner, il quale si sente artista e grandissimo, senta anche la dignità che all’artista deve indeclinabilmente andar congiunta; e smetta, per conseguenza, dal vantarsi e dal lodarsi come appena farebbe una ballerina; e mandi a spasso una volta gli ammiratori, i commentatori, i dichiaratori, i descrittori poeti, i fabbricatori d’enfasi e d’entusiasmo che gli stanno intorno ad incensarlo (per saper poi d’incenso anche loro) e coi quali non gli ripugna di scendere a un palleggio di encomii e di lodi che mai il più inverecondo e il più goffo. IVagnerisla e claqueur non sono oggi quasi sinonimi? — E con questa fan due. Poi aspetto che Wagner si contenti d’essere un poeta e un compositore (diamine, non è poi tanto poco) e cessi dal pretenderla a filosofo e si liberi dalla pnirigine di voler essere a ogni costo (a costo anche de’ più sbardellati spropositi e delle contraddizioni più aperte e stridenti) e legislatore e precettore e riformatore e rigeneratore dell’arte. — E con questa fan tre; e qui, per ora, mi fermo e concludo domandando: come si può dire che io sono wagnerista se, in fondo, non può dire d’esser tale nemmeno il Wagner istesso? Che cosa ha fatto e che cosa fa il Wagner? — non è chi non possa vederlo: sconfessa in teorica ciò che stabilisce in pratica; — cancella con una mano ciò che scrive coll’altra; — mette l’uomo in perpetua opposizione coll’artista; — aspira e s’accosta al sublime coll’ingegno, e con la vanità si tira giù sino al ridicolo. Sicché, wagnerista, no.