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MUSICALE DI MILANO 370 GAZZETTA fratello di questo Tannhàuser di cui ha i pregi ed i vizii ereditari. Applaudito il Lohengrin doveva essere applaudito anche Tannhàuser; or come si spiega che avvenne il contrario? La cosa non si spiega... o piuttosto si spiega benissimo. YEROSi spiega benissimo. La prima volta Bologna fa presa alla sprovveduta, alla seconda sapeva con chi avesse a fare. Ci sono due bei proverbi che adattano all’occasione: Ogni bel gioco dura poco — e dove il.... casca una volta non ei casca più la seconda. Or ecco a conferma di ciò che ei scrive il nostro corrispondente, quanto si legge nella Gazzetta di Treviso: u Ci scrivono da Bologna che ieri sera la prima rappresentazione della grand’opera di Wagner ha avuto un esito infelice. «I due primi atti sono passati in mezzo ad una sensibile inquietudine ed anche col visibile proposito in taluni di riprovare per riprovare, proposito pei’ altro severamente giudicato dalla gran maggioranza fredda ed imparziale. «Al terz’atto per altro i segni di disapprovazione si sono fatti cosi grossi e generali che difficilmente il Tannhàuser potrà rialzarsi e ripetersi. «E il giornale Dietro le scene, di Bologna, scrive: «La polemica è finita — Rimango melodista. Che fischi, che urli, che patatracl Povero Gay arre, quanto inutile spreco della tua bella voce! Povera Grün t,... K A salvare Tannhàuser non ha valso la mostruosa barba d Aldighien, non l’adipe immensa di Venere nè il suo dolcissimo accento francese, non il lussureggiante apparato delle scene! Tannhàuser è stato seppellito nella bara di S. Elisabetta, e l’eccelso Mariani appena fra gli urli ha potuto salvare la sua bacchetta! «Avveniristi, spegnete i lumi. «L’avvenire non è per noi. «Avveniristi, andate in Germania, e fatevi cittadini della Foresta Nera. In Italia quando s’ha sonno si va a letto, non in teatro. «Avveniristi, felice notte. «L’Opinione ha il seguente telegramma: «La sinfonia fu applaudita; il primo atto passò con pochi applausi; l’atto secondo disapprovato, però con qualche tentativo d applauso; atto terzo naufragio completo dell’opera. L’esecuzione per parte delle donne lascia a desiderare. Messa in scena splendida. «Non abbiamo finora visto altri giornali, ma ei pare che basti. N. della D. Rivista Milanese Sabato, 9 novembre. Fu un cattivo consiglio quello dell’impresa del teatro DalVerme di porre in iscena il Don Giovanni di Mozart. Quest’è un’opera che porta meravigliosamente bene i suoi anni, ma che non può levarseli di dosso; un decrepito assai ben conservato, ma che per quanto si ringalluzzisca non può riuscire a passar per un giovinotto di primo pelo. Io son di quelli che alla musica bella non domandano le fedi di nascita; per me non esiste musica vecchia, tranne la cattiva musica; certo l’armonia e il contrappunto d’oggi sono assai più ricchi dell’armonia e del contrappunto di un secolo fa, ma l’ispirazione d’allora vale l’ispirazione d’oggi, quando non vale più. Ma non è la musica di Mozart che è invecchiata, è il suo melodramma. Da questo lato oggidì si hanno idee molto differenti d’allora, ed a ragione. Oggi si vuole che la nota si sposi alla parola cosi intimamente da formare una sola idea, e si pretende che il convenzionalismo delle forme musicali non tiranneggi la situazione scenica o il buon senso. Ai tempi di Mozart non si badava tanto pel sottile; il libretto era nulla più di un cattivo pretesto per fare della eccellente musica; e il Don Giovanni è il modello del genere. Non mai mi apparvero cosi evidenti le inverosimiglianze e le seccature interminabili di quel cencio melodrammatico dell’abate Da Ponte buon’anima sua, come alla parodia che ne fu fatta al Dal Verme. Alla Scala, eseguito infinitamente meglio, questo capolavoro, eterno per gli studiosi, morto e sepolto da un pezzo per le scene, aveva ancora un’apparenza di vita; al Dal Verme parve un cadavere posto a contatto della pila che facesse le smorfie della rana di Galvani. A volerlo fare apposta non si poteva scegliere artisti meno adattati alle parti che furono loro affidate. Escludo la Brambilla, che fu una Zeriina elegantissima e piena di brio, e dico che tutti gli altri eran fuor dei loro gangheri. Lo stesso Barrò, non ostante gli entusiastici applausi con cui fu accolto, mi parve in quest’opera inferiore a sè stesso; pose tutto il suo studio a dare al personaggio di Don Giovanni il suo carattere di elegante seduttore, e vi riuscì benissimo, ma sdolcinò troppo il canto, portò all’eccesso il lieve difetto già rimproveratogli nelle altre parti’dalla critica. Il valente basso Junca era posto in croce nella parte di Leporello; egli tutto dignità e compostezza, il suo personaggio tutto brio e buffoneria, non ei fu verso che potessero mettersi d’accordo come avrebbero dovuto; pure Leporello, dopo Don Giovanni e Zeriina, fu il meno male. Pensate che cosa fossero gli altri! La signora Saar non doveva cantare la parte di Donn’Anna; ribelle come si mostra alla pronuncia italiana, questo genere di canto chiaro ed aperto e poco drammatico, anche quando drammatica è la situazione, non doveva far altro che oscurare i suoi pregi e far doppiamente palesi i suoi difetti; la signora Milani non più fortunata nella insipida parte di Donna Elvira, e Don Ottavio fu ancora più disgraziato delle sue compagne. Al contrario si tolsero discretamente d’impaccio il buffo Giacomelli (Maseto) e il basso Maffei (Commendatore). I cori andarono bene; l’orchestra poteva andar meglio, specialmente nella sinfonia. Insomma, con buoni artisti, non si riuscì a mettere insieme altro che una catastrofe. Se il capolavoro di Mozart, che ha resistito finora, fosse sottoposto un paio di volte ancora a simili sevizie, ei lascierebbe la pelle per omnia scecula o almeno non se ne parlerebbe più per un pezzo. Come farà l’Impresa a tirare innanzi fino alla fine della stagione? Non le rimane altra speranza di salvezza che la nuova opera Corinna del maestro Rebora, ma il tenore Aramburo non vuol saperne di cantare in quello spartito e di tenori buoni a spasso in questa stagione non ce n’é proprio. Al Carcano continuano con crescente successo le rappresentazioni della Reginetta del Braga; si applaudiscono ogni sera quasi tutti i pezzi, e si vuole sempre la replica della romanza del tenore; un solo pezzo passa innosservato, ed è la famosa romanza del baritono nel secondo atto in re bemolle. Si ha un gran stare attenti, dopo l’avviso dato dall’appendicista della Lombardia, ma la romanza del baritono in re bemolle, rimane ancora oggi un mistero. Peccato! Ma perchè in re bemolle? Io lo domando a tutti gli uomini misericordiosi: perchè in re bemolle? Allo stesso teatro è imminente la prima rappresentazione del David, Rizzio del maestro Canepa. Anna Maria Orsini atta Corte di Spagna è il titolo d’un nuovissimo dramma in 5 atti di Ludovico Muratori, rappresentato al teatro Santa Redegonda dalla compagnia Salvini. Nuovissimo, si sa, è un modo di dire che non invecchia; preso alla lettera non si conviene punto al dramma del Muratori. Tutto in questo lavoro è vecchio, l’argomento, e le tinte cariche, ed i colpi di scena; i personaggi sono pallide larve dissepellite male a proposito; ei è però in questo lavoro del Muratori una facilità di dialogo, un correre franco e spigliato di scene, un artifizioso succedersi di effetti che compensano i difetti accennati ed altri molti che è inutile accennare. Fate le parti del bene e del male, e mettendosi una mano sul petto, il critico è costretto a confessare con dispiacere che tutti i primi nati dello stesso padre sono infinitamente più sani e più vigorosi di quest’ultimo. AL