Pagina:Gelli - Codice cavalleresco italiano.djvu/149

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Libro terzo 123


forza di legge, o nominati per libera elezione delle parti interessate in una vertenza d’onore dichiarano indegni i cittadini, che la Giustizia ha colpito con pene infamanti, o che per altre mancanze all’onore sono stati colpiti di squalifica da un lodo cavalleresco. Però, subordinatamente, la società può ritenere indegni di trattare vertenze d’onore anche coloro che senza esser caduti sotto l’azione del Codice, avendo eluso la legge, hanno notoriamente commesso atti indelicati.

Ad eccezione di questa notorietà ammessa, nessun individuo è in diritto di invocare un verdetto d’indegnità contro chicchessia. Giudicata dal punto d’onore, solo l’azione qualificata indelicata rende indegni delle armi: ma, colui che promuove l’accusa, è in obbligo di fornire la prova che l’azione indelicata veramente fu commessa e non fu attribuita all’accusato per odio di parte o per altra causa.

ART. 233.

Se la parte accusatrice si rifiutasse di adire al giudizio di un giurì o della Corte d’onore; ovvero, se tentasse in qualsiasi modo di renderne impossibile l’appello, la costituzione o il compito; la parte accusata è in pieno diritto di appellarsi al giudizio dei gentiluomini o della Corte d’onore, anche senza l’intervento della controparte.

Nota. — I Giurì d’onore, Milano, Torino, Genova, Novara, Firenze, Venezia, Mantova, Verona, Napoli, Roma, Livorno, costituitisi ad istanza del Comm. J. Gelli nel maggio e nel giugno 1893, si dichiararono favorevoli alla opinione espressa in questo articolo.

Se si negasse al gentiluomo il diritto di appellarsi alla Corte d’onore, o secondo i casi, ad un giurì unilaterale, cioè nominato esclusivamente dai suoi rappresentanti, o su richiesta loro, da persone occupanti cariche pubbliche,