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124 Codice cavalleresco italiano


si permetterebbe alle canaglie ed ai bricconi di rovinare le più stimate ed onorate reputazioni. È accaduto più d’una volta che tre birbaccioni, travestiti da gentiluomini, si sono messi d’accordo per formulare una calunnia odiosa contro una persona a modo, dall’onore intemerato.

Il calunniato manda a sfidare il calunniatore: questi, per mezzo dei suoi complici e rappresentanti, dichiara che lo sfidante è indegno di trattare una vertenza d’onore per «la calunnia dallo sfidato stesso propalata». L’accusato di indegnità, sentendosi sicuro della onoratezza di ogni sua azione, domanda l’appello ad un giurì d’onore.

Gli accusatori vi si rifiutano; o con raggiri impediscono il giudizio del tribunale cavalleresco, allo scopo di lasciare l’accusato nella impossibilità di difendersi, e quindi sotto il peso della calunnia.

Per combattere codesta triste genia di cavalieri dell’infamia, abbietti e codardi: per tutelare l’onestà di un gentiluomo, i giudizi di Corti e giurì mi confortarono a sostenere per primo in questo Codice, che l’accusato d’indegnità, a cui venisse negato, o si tentasse d’impedire la prova della propria innocenza, ha il diritto di appellarsi ad un giurì unilaterale, nominato dai suoi rappresentanti, o da autorità costituite, tra i cittadini godenti ottima reputazione, e possibilmente esperti in materia di onore. Ma, se anche questo diritto venisse contrastato, si farà appello alla Corte d’onore, che ha i mezzi opportuni per costringere gli accusatori alla prova.

ART. 234.

Se il verdetto emesso dal giurì d’onore è favorevole all’accusato, senza però dichiarare definita la vertenza, si riprenderanno le trattative della medesima nelle 24 ore successive alla comunicazione del verdetto, sempre quando sia provata la buona fede dell’accusatore.