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d’una signorina per bene 115

c’era la mamma, ancora non erano fabbricati il villino in città e la villa su ’l lago, e lì si passava l’estate, nella intimità soave, nella onesta, cara semplicità di borghesi appena agiati.

La campana ripetè i due tocchi argentini. Era quella l’ora in cui, bambina, ella andava a la chiesa con la mamma per la perdonanza, come diceva lei. Le venne il desiderio di ritornare a la dolce abitudine; volle andare in chiesa. Entrò in salottino, mise il cappello e uscì.

La chiesa era vicina; a un cento di passi; vi si andava per una viuzza chiusa ai lati da due siepi di caprifoglio.

Gli scriccioli saltellavano tra le fronde, si cacciavano nel folto, sbucavano fuori pigolando.

Nel giardino del parroco, al di là della siepe, un usignuolo gorgheggiava. Alcune galline prataiuole, beccuzzavano starnazzando lungo la viuzza; una chioccia, accucciata a l’ombra della siepe, chioccolava ai pulcini raccolti sotto le ale, le sue prime lezioni di prudenza. Il verde, lavato dalla piova, spiccava fresco e luccicante. L’abbaiare di qualche cane, il muggire, in lontananza, di qualche vacca, qualche grido di fanciullo e lo scrosciare