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Pagina:Georgiche.djvu/148

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245Stendono sopra le tenaci cere.
Educan altre i pargoletti figli
Speme del popol lor, purgano alcune
E condensano il mele, e tutte poi
Del nettare söave empion le celle.
250Molte ancora ve n’ha, cui tocca in sorte
Di custodir la foglia, e stan le nubi
Queste a vicenda speculando, e i venti,
O il peso alleggeriscono di quelle
Che arrivano da i campi, o fatta schiera
255Scacciano i fuchi, neghittoso gregge,
Lungi da gli alvëar: l’opera ferve,
E olezza il mele d’odoroso timo.
In quella guisa che i Ciclopi ignudi
Stan le säette fabbricando a Giove;
260Altri a i ventosi mantici dan fiato,
Altri ne l’acqua che gorgoglia e stride,
Attuffano l’acciar; sovra le incudi
Con la tenaglia l’infocata massa
V’è chi volgendo va, mentre le braccia
265Alzano gli altri, e a numerati colpi
De gli alterni martelli Etna rimbomba.
Non altrimenti, se a le grandi cose
Paragonar le piccole è permesso,
L’innato amor del mel fa l’api intente
270Ognuna al suo lavor. Han le più vecchie