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Pagina:Georgiche.djvu/149

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Cura de gli alvëari, e debbon esse
Munire i favi, e fabbricar le celle.
Stanche la sera e cariche di mele
Tornano le più giovani che in giro
275Vanno pascendo il dì la casia e il timo,
Le corbezzole, il salcio, e il rosso croco,
Le pingui tiglie, e i pallidi giacinti.
Tutte han travaglio uguale, e ugual riposo;
Escono al primo albor, nè indugio o tregua
280Soffrono mai durante il dì, poi quando
Espero spunta in ciel tornano a casa
Le forze a ristorar: dense a la soglia
S’affollano aleggiando, e a i buchi intorno
Suona un confuso fremito e ronzìo;
285Ma poichè tutte s’annidár, non s’ode
Voce la notte più; placida ognuna
S’adagia, e cheta s’abbandona al sonno.

     Nè de la pioggia al sovrastar da casa
Osano lungi discostarsi, o in alto
290Fidarsi al cielo, se minaccia vento;
Ma de la lor città sotto le mura
Stansi a riparo, e a i più vicini fonti
Van d’acqua a provvedersi, e brevi scorse
Tentano, e spesso ancor, siccome nave
295Col peso suol de la savorra a l’urto