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Pagina:Georgiche.djvu/159

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Sparse la chioma su l’eburnee spalle,
E Spio, Neséa, Cimodoce, e Talia;
E la bionda Licoride, e Cidippe,
520Questa vergine ancor, quella già madre;
E Boroe, e Clio sorelle, ambedue figlie
Del gran padre Ocëáno, ambe vestite
D’oro trapunto, e di macchiate pelli,
E l’asia Deiopeia, Efire, ed Opi,
525Ed Aretusa, di Dïana un tempo,
Ninfa or de’ fiumi, e senza strali al fianco.
Stava Climene in mezzo a lor le vane
Cure gelose di Vulcano, e i dolci
Furti di Marte, e l’amorose frodi
530Narrando, e fin dal primo Caos i varii
Amor frequenti ritessea de’ numi.
Chete le ninfe, e ad ascoltarla intese
I molli velli ravvolgeano intorno
A i volubili fusi, allor che il misto
535Pianto del figlio le materne orecchie
Ferì di nuovo. Attonite ed immote
Su i cristallini lucidi sedili
Tutte restar: ma frettolosa e prima
Corse Aretusa, e a riguardar che fosse
540Il biondo capo sollevò da l’onda:
Ed oh! da lungi, oh! non indarno, esclama,
Da tanto grido spaventata, oh! cara