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Pagina:Georgiche.djvu/166

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I traci campi, il Rodope, e il Pangeo,
E l’Ebro, e i Geti, e l’attica Orizìa.
Ei del vedovo amor la lunga doglia
695Disacerbando co la cava lira,
Te solo errante sul deserto lido
Te dolce sposa, al nascere del giorno,
E te del giorno al tramontar piangea.
Nè di ciò pago a le tenarie fauci,
700Varco di Dite, e al formidabil bosco
Del nero stige penetrare osando,
Al re tremendo s’affacciò de l’ombre,
E a le spietate Eumenidi, cui mai
Prego mortale ad ammollir non giunse.
705Commosse al canto suo da l’ime sedi
De l’Erebo accorrean le pallid’ombre,
E i lievi simulacri in lunga folla,
Quasi stormo d’augei, quando nel bosco
S’annidano la sera, o giù da i monti
710Cacciali il verno procelloso, o il nembo;
Uomini e donne, e spenti eroi, fanciulli,
E donzelle già nubili, e maturi
Giovani, in fresca età posti sul rogo
In faccia a i padri lor: misera turba!
715Cui l’alga oscura di Cocito e il lento
Fango imprigiona, e la stagnante intorno
Di Stige irremëabile palude