Pagina:Ghislanzoni - Abrakadabra, Milano, Brigola, 1884.djvu/270

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derlo. Perdoniamo al genio un istante di debolezza; le più alte intelligenze, le nature più energiche subiscono delle prostrazioni inesplicabili. Le esortazioni, i conforti, le preghiere degli amici, nulla valeva a smuovere quello scorato dalla nefasta risoluzione. Se non che, all’ordine naturale del cosmos era necessaria quella esistenza. Malthus e il trionfo delle sue teorie non potevano esimersi dall’entrare e dal compiere la loro parabola ascendente nel moto provvidenziale di rotazione imposto dalla legge fisica universale.

«Fra gli apostoli del principio che in quel giorno stavano adunati intorno al Capo, c’era uno scienziato, o, come allora si diceva, un utopista di zoologia, chiamato Gorini, discendente per linea indiretta da quell’illustre diseredato che già aveva fatto nel secolo precedente delle meravigliose scoperte sulla origine del mondo, e riuniti gli elementi chimici più atti alla pietrificazione dei cadaveri. Al momento in cui Malthus, nel suo implacabile desiderio di finirla, colla vita, portava alla bocca una pillola asfissiante, un grido imperioso risuonò nell’aula: fermate! Malthus guardò fissamente l’apostolo che si era alzato per accorrere a lui; l’altro con piglio più assoluto, ripetè l’intimazione: fermate! In quel grido c’era una potenza irresistibile. — Che hai tu a dire ad un moribondo? — domandò Malthus, trattenendo la pillola sospesa fra l’indice e il pollice. — Due logiche e serie parole — rispose il Gorini: — voi volete morire, perché avete riconosciuto, come noi riconosciamo, non essere l’epoca attuale matura alla realizzazione delle nostre sublimi teorie. Orbene, se qualcuno venisse a proporvi di sostituire alla morte un lunghissimo sonno, un sonno di dieci, di vent’anni, di mezzo secolo, persistereste voi ancora nel proposito disperato? — Ho piena fede nell’avvenire — rispose Malthus; — ma un mezzo secolo dovrà trascorrere prima