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CAPITOLO VII.
Il trionfo del martire.
Come sono lente le giornate del prigioniero! Da oltre due mesi Teodoro
languisce nel carcere di Santa Margherita; da oltre due mesi egli
si trova segregato dal mondo, ignaro del proprio avvenire, privo di
consolazioni e di speranze. La monotona visita del secondino che, senza
proferire parola, gli getta la pagnotta come a cane famelico, è l'unica
distrazione del prigioniero nelle notti interminabili, angosciose.
Ignorando l'origine della propria sciagura, Teodoro attese lunga
pezza un angelo liberatore in veste da prete, lo zio don Dionigi; e
a lui piangendo volse preghiere e rimproveri, a lui stese le braccia
desolate, nelle veglie e nei sonni. Ma l'angelo non apparve; e i
lamenti del tapino si spensero sotto le gelide pareti. A poco a poco la
rassegnazione passiva subentrò nell'animo di Teodoro; dopo due mesi di
prigionia la vita mutossi per lui in letargo affannoso.
Il sul finire di marzo, una notte il prigioniero fu scosso da insoliti rumori... Lontano lontano gli parve udire un tuono come di temporale... poi squilli di campane... grida nelle vie, nel cortile; un correre, un agitarsi di persone ne' corridoi, ed altri strepiti non mai intesi. Una pioggia dirotta spinta dal vento assaliva la inferriata dell'angusta finestra, e, convertita in rigagnoli, a poco a poco allagava la stanza. Il sentimento della paura ridestossi nell'anima instupidita di Teodoro. Egli correva per la camera barcollando, e, raccomandandosi colle mani alla parete, pareva cercasse una breccia per isfuggire a nuovi e più crudeli disastri. «Oimè! — gridava il poveretto ravvivato dal terrore: — Iddio rinnova dunque il miracolo del diluvio! Questa città maladetta, ripiena di ingiustizia e di iniquità, sarà preda dell'acqua! Fra poco tutti saremo sommersi!... Zio! mio buon zio! Caterina! Dorotea! santi e sante del Paradiso! venite in mio