Pagina:Giambelli - Il ragionamento della dotta ignoranza, 1591.djvu/30

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a 6 Della Dotta jlche be conobbe hauerprouato infe MeJJb quel Poeta, che eh (Te, Ben mi h poti ii dir, Frate tu vai L’altrui moftrado,e no vedi il tuo fallo, ApprcJfo,chi e colui,chevogliafprez,z>arfie ftefifo ? che di buon cuore fi dia a biafimat (e me defimo ? Che mentre,per poco tempo, confideriamo la noflra nobiltà, che fi amo creature nobtltfiime, epilogo, e fine dell’a f tre cofie create ;fiubito stimiamo d'ejfer, dégni d'ogni lode, e di non mai meritar, per qualunque operatione, alcun biafimo. Oltre che mirando l'huomo feftejfo > eficorgendo, che in lui fi contengono con marautgliofit fimi ghianda, tutte l'altre creature Je quali tutte fono perfette nelfuo grado,come quelle,che procedono da Dio perfetttfitmo 3 non può fe non malageuolmente conofiere d’effere in parte alcuna difetto fio . •£/ poi noi fi amo così aue^zi à correr dietro agli oggetti finfibilt , che ci apportano qualche diletto, che trattenuti dal fenfio > che fipra di fe non reflette> non fi ricordiamo punto di ritornar, à noi sìefii, onde ci dipartimmo. Ma>con tutto ciò, e cofa man fefta y che fi iddio A k t i m. £ %u ■ ■ fa, jilu éo ìtrif !/ nei» lìtn m i fai gin ?/« HUir 'He ■ Vii/ in bitta, 'unti ftck ’Wut M Digitalizzato da Google