Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano I.djvu/422

Da Wikisource.

dell'impero romano cap. x. 385

Erano quei bellicosi Germani rimasti attoniti dagli immensi preparativi di Alessandro Severo, e furono atterriti dalle armi del suo successore, barbaro eguale ad essi in valore ed in fierezza. Ma sempre scorrendo per le frontiere dell’Impero, accrebbero il generale disordine, che seguitò la morte di Decio. Crudeli ferite essi impressero nelle ricche province della Gallia, e furono i primi a squarciare il velo, che copriva la debole maestà dell’Italia. Un numeroso corpo di Alemanni passò il Danubio, e per le alpi Rezie penetrò nelle pianure della Lombardia, si avanzò fino a Ravenna, e spiegò le vittoriose insegne dei Barbari, quasi al cospetto di Roma1. L’insulto e il pericolo riaccesero nel Senato qualche scintilla della sua antica virtù. Erano ambi gl’Imperatori impegnati in guerre molto lontano, Valeriano nell’Oriente, e Gallieno sul Reno. Non aveano i Romani altro scampo ed altre speranze che in se stessi. In tale urgenza presero i Senatori la difesa della Repubblica, condussero fuori i Pretoriani, ch’erano stati lasciati per guarnigione nella Capitale, e ne compirono il numero, arrolando al pubblico servizio i più robusti e volonterosi plebei. Sbigottiti gli Alemanni dall’improvvisa comparsa di un esercito assai più numeroso del loro, si ritirarono nella Germania carichi di prede; e fu la ritirata loro dagl’imbelli Romani2 considerata come una vittoria.

Quando Gallieno ricevè la notizia ch’era la sua Capitale liberata dai Barbari, rimase molto men sod-

  1. Stor. Aug. p. 215, 216. Dexippo nell’Excerpta Legationum, p. 8. Hieronym. Cron. Orosio VII 22.
  2. Zosimo l. I, p. 34.