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dell'impero romano cap. x. |
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no fu spesso usato dagli antichi per esprimere l’illegittima occupazione del supremo potere, senza alcun rapporto all’abuso di quello. Diversi tra i pretendenti, che spiegarono lo stendardo della ribellione contro l’Imperatore Gallieno, erano illustri modelli di virtù e quasi tutti avevano una riguardevole dose di vigore e di abilità. Il merito avea procurato ad essi il favore di Valeriano, e gli avea gradatamente promossi ai più importanti Governi dell’Impero. I Generali, che presero il titolo di Augusto, erano o rispettati dalle loro truppe per l’esperta loro condotta e severa disciplina, o ammirati pel valore e per la fortuna in guerra, o amati per la loro franchezza e generosità. Il campo della vittoria fu spesso il teatro della loro elezione, e fino l’armaiuolo Mario, il più disprezzabile di tutti i pretendenti alla porpora, fu distinto pel suo intrepido coraggio, per l’incomparabil sua forza, e per la sua rozza onestà1. Il suo vile e recente mestiero dava, è vero, un’aria di ridicolezza alla sua elevazione; ma la sua nascita non poteva esser più oscura di quella della maggior parte de’ suoi rivali, ch’erano nati da contadini, ed arrolati nell’armata come soldati privati. Nei tempi di confusione ogni genio attivo trova il posto assegnatogli dalla natura: in un generale stato di guerra il merito militare è la via della gloria e della grandezza. De’ diciannove tiranni, Tetrico soltanto era Senatore: Pisone solo era nobile. Il sangue di Numa, per ventotto successive generazioni, scorreva nelle vene di Calfurnio Pisone2, il quale per alleanze di donne
- ↑ Vedi la parlata di Mario nella Stor. Aug. p. 197. L’accidentale somiglianza de’ nomi fu la sola circostanza, che potè tentare Pollione ad imitare Sallustio.
- ↑ Vos o Pompilius sanguis! Tale è l’apostrofe di Orazio