Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano IV.djvu/265

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dell'impero romano cap. xxiii 261

sprezzo1; ma dovrebbe diligentemente studiare i sistemi di Pitagora, di Platone e degli Stoici, che insegnano concordemente, che vi sono gli Dei; che il Mondo è governato dalla lor providenza; che la lor bontà è la sorgente d’ogni bene temporale; e che hanno essi preparato per l’anima umana uno stato futuro di premio o di pena„. L’Imperial Pontefice inculca ne’ più persuasivi termini i doveri della beneficenza e dell’ospitalità; esorta l’inferiore suo clero a raccomandare la pratica universale di queste virtù; promette d’assister la loro indigenza col tesoro pubblico; e dichiarasi risoluto di stabilire degli ospedali in ogni città, ne’ quali potesse il povero esser ricevuto senz’alcuna odiosa distinzione di religione o di patria. Giuliano vedeva con invidia i savj ed umani regolamenti della Chiesa, ed assai francamente confessa l’intenzione che aveva di spogliare i Cristiani dell’applauso e del vantaggio, ch’essi aveano acquistato mediante la pratica esclusiva della carità e della beneficenza2. Il medesimo spirito d’imitazione potè disporre l’Imperatore ad adottare varie istituzioni ecclesiastiche, l’uso ed importanza delle quali confermavasi dal buon successo de’ suoi nemici. Ma se si fossero realizzati questi immaginari divisamenti di riforma, tal imperfetta e forzata copia sarebbe stata meno giovevole al Paganesimo che onorevole pe’ Cristiani3. I Gentili, che pa-

  1. L’esultazione di Giuliano (p. 301) perchè s’estinguessero quest’empie Sette ed anche i loro scritti, può essere assai coerente al carattere Sacerdotale; ma è indegno d’un Filosofo il desiderare, che si celasse agli occhi del genere umano alcuna opinione o argomento anche il più ripugnante al proprio sentire.
  2. Insinua però che i Cristiani, sotto pretesto di carità, involavano i fanciulli alla lor religione ed a’ loro genitori, li trasportavano sopra navi, e condannavano queste vittime ad una vita di povertà o di servitù in un remoto paese (p. 305). Se l’accusa fosse stata provata, il suo dovere non era di dolersi, ma di punire.
  3. Gregorio Nazianzeno è faceto, ingegnoso ed arguto