Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano IV.djvu/301

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dell'impero romano cap. xxiii 297

d’Alessandria per l’ingiusto e quasi universal monopolio, ch’egli acquistò del nitro, e del sale, della carta, de’ funerali ec., ed il padre spirituale d’un gran popolo s’abbassava a praticar le vili e perniciose arti di delatore. Gli Alessandrini non poterono mai dimenticare o perdonargli la tassa, ch’ei suggerì sopra tutte le case della città, sotto l’antiquato pretesto che il real fondatore di essa avea trasferito ne’ Tolomei e ne’ Cesari, suoi successori, la perpetua proprietà del suolo. I Pagani, a cui lusinghevolmente s’era fatto sperare libertà e tolleranza, eccitarono la sua devota avarizia, ed i ricchi tempj d’Alessandria furono o saccheggiati o insultati dall’altero Prelato, ch’esclamava con alta e minacciante voce. „E fino a quando si permetterà, che questi sepolcri sussistano?„ Sotto il regno di Costanzo, egli fu scacciato dal furore o piuttosto dalla giustizia del popolo; e non senza un violento contrasto, la forza civile e militare dello Stato potè ristabilire l’autorità, e soddisfare la sua vendetta. Il corriere, che promulgò in Alessandria l’avvenimento di Giuliano al trono, annunziò anche la caduta dell’Arcivescovo. Giorgio, insieme con due dei suoi ossequiosi ministri, il conte Diodoro e Draconzio soprintendente della zecca, furono ignominiosamente condotti in catene nelle pubbliche carceri. Al termine di ventiquattro giorni, fu aperta per forza la prigione dal furore d’una superstiziosa moltitudine, impaziente delle noiose formalità delle processure giudiciali. I nemici degli Dei, e degli uomini spirarono fra’ loro crudeli insulti; i morti corpi dell’Arcivescovo e de’ suoi compagni furon portati in trionfo per le strade sul dorso d’un cammello: e l’inattività del