Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano IV.djvu/321

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dell'impero romano cap. xxiv. 317

tivo di commercio, e si ricerca da una terza parte pel quotidiano e necessario mantenimento della vita, tutti i guadagni degli agenti, intermedj vanno a posarsi sul capo de’ miseri consumatori. La durezza della loro situazione veniva esagerata ed accresciuta dalla loro impazienza ed inquietudine; ed il timore della scarsità produsse appoco appoco l’apparenza d’una carestia. Quando i voluttuosi cittadini d’Antiochia si lamentarono del caro prezzo dei polli e del pesce, Giuliano pubblicamente dichiarò che una città frugale avrebbe dovuto contentarsi di una regolar quantità di vino, d’olio e di pane; riconosceva egli però ch’era dover di un Sovrano il provvedere alla sussistenza del popolo. Con questo salutevole fine, l’Imperatore arrischiossi ad un passo molto pericoloso ed incerto, a determinare cioè con legale autorità il valore del grano. Egli ordinò, che in un tempo di scarsità si vendesse ad un prezzo, che rare volte aveva avuto luogo negli anni di maggiore abbondanza; ed affinchè il proprio esempio desse vigore alla legge, mandò al mercato quattrocento ventiduemila moggi o misure, che si trassero per ordine di lui da granai di Gerapoli, di Calcide ed anche d’Egitto. Se ne potevano prevedere le conseguenze, e ben presto ebbero effetto. Si comprò da ricchi mercanti il grano Imperiale; i proprietari di terre o di frumento non ne mandarono più alla città la solita dose, e le piccole quantità di grano, che comparivano in mercato, erano segretamente vendute ad un anticipato ed illegittimo prezzo. Giuliano continuò sempre a gloriarsi della sua politica, risguardò i lamenti del popolo come vani ed ingrati romori, e convinse Antiochia, ch’esso aveva ereditato se non la crudeltà, almeno l’ostinazione di