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dell'impero romano cap. xxvi. 207

che le streghe della Scizia, che per le maligne loro o mortifere azioni erano state cacciate dalla società, si fosser congiunte nel deserto con spiriti infernali, e che gli Unni fossero la prole di quell’esecrabile congiunzione1. Questa favola, sì piena d’orrore e di assurdità, fu facilmente abbracciata dal credulo odio de’ Goti; ma nel tempo che soddisfaceva il loro abborrimento, ne accresceva il timore; mentre poteva supporsi che la posterità dei demoni e delle streghe avesse ereditato qualche parte della forza soprannaturale non meno che dell’indole maligna dei suoi genitori. Contro nemici di questa sorte Ermanrico preparossi ad esercitare le riunite forze del dominio Gotico; ma presto conobbe, che le suddite sue tribù, irritate dall’oppressione, eran più inclinate a secondar che a rispingere l’invasione degli Unni. Uno dei Capi de’ Rossolani2 aveva già disertato dallo stendardo d’Ermanrico, ed il crudel Tiranno aveva condannato la moglie innocente del traditore ad essere fatta in pezzi da indomiti cavalli. I fratelli di quell’infelice donna presero il favorevol momento di vendicarsi. Il vecchio Re de’ Goti languì qualche tempo dopo la pericolosa ferita che ricevè da’ loro pugnali; ma ritardossi la condotta della guerra per la sua infermità; ed i pubblici consigli della nazione furono

  1. Tale esecranda origine, che Giornandes (c. 24) descrive col rancore d’un Goto, può esser derivata in principio da qualche più piacevole favola dei Greci (Erodoto l. IV. c. 9).
  2. I Rossolani possono essere i padri de’ Ρως Russis (Danville Empire de Russie p. 1-10) la residenza de’ quali (nell’anno 862) verso Novogrod Veliki non può esser molto lontana da quella che ai Rossolani assegna (nell’an. 886) il Geografo di Ravenna (I. 11 IV. 4. 46, V. 28. 30).