Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano V.djvu/365

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dell'impero romano cap. xxviii. 361

capitale, ed alle volte nelle Province, i diritti della loro ecclesiastica e civile Giurisdizione. Le loro vesti di porpora, i cocchi di parata, ed i sontuosi loro trattamenti attraevano l’ammirazione del popolo; e dalle sacre terre non meno che dal pubblico erario tiravano un ampio stipendio, che abbondantemente serviva a sostenere lo splendore del Sacerdozio e tutte le spese del Culto religioso dello Stato. Siccome il servizio dell’altare non era incompatibile col comando degli eserciti, i Romani, dopo i lor consolati e trionfi, aspiravano ai posti di Pontefici o di Auguri; gli impieghi di Cicerone1 e di Pompeo nel quarto secolo erano occupati dai membri più illustri del Senato; e la dignità della lor nascita rifletteva uno splendore2 più grande sul carattere Sacerdotale. I quindici Sacerdoti, che componevano il collegio dei Pontefici, avevano un grado più distinto come compagni del loro Sovrano; e gl’Imperatori Cristiani condiscesero ad accettare la veste e le insegne proprie del Sommo Pontificato. Ma quando salì sul trono Graziano, più scrupoloso o più illuminato egli rigettò vigorosamente quei simboli profani, applicò all’uso dello Stato o della Chiesa le rendite de’ Sacerdoti e delle Vestali, abolì gli onori e le immunità loro, e sciolse l’antica fabbrica della superstizione Romana,

  1. Cicerone francamente (ad Attic. l. II. epist. 5) o indirettamente (ad Famil. l. 15 ep. 4) confessa che l’Augurato è il principale oggetto dei suoi desiderj. Plinio ambisce di camminare sulle vestigia di Cicerone, (l. IV. ep. 8) e potrebbe continuarsi la catena della tradizione per mezzo dell’istoria e dei marmi.
  2. Zosimo l. IV. p. 249, 250. Ho soppresso le stolte sottigliezze sopra le parole Pontifex e Maximus.