Pagina:Gibbon - Storia della decadenza e rovina dell'Impero romano V.djvu/373

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dell'impero romano cap. xxviii. 369

seliti. I decreti del Senato, che condannavano il culto degli idoli, ratificati furono dal general consenso dei Romani1; s’oscurò lo splendore del Campidoglio; ed i tempj solitari furono abbandonati alla rovina e al disprezzo2. Roma si sottopose al giogo dell’evangelio; ed il suo esempio trasse le soggiogate Province che non avevano ancor perduta la reverenza per l’autorità ed il nome di Roma. La filiale pietà degli Imperatori medesimi gli indusse a procedere con qualche cautela e tenerezza nella riforma dell’eterna città. Quegli assoluti Monarchi agirono con minor riguardo verso i pregiudizi dei Provinciali. Il pio lavoro, che dalla morte di Costanzo3 era stato sospeso quasi venti anni, fu vigorosamente riassunto, e finalmente condotto a termine dallo zelo di Teodosio. Mentre questo bellicoso Principe combatteva ancora co’ Goti non per la gloria, ma per la salvezza della Repubblica, s’arrischiò ad offendere una considerabile parte di sudditi con certi atti, che potevano forse assicurare la protezione del

  1. Prudenzio, dopo d’aver descritto la conversione del Senato e del popolo, domanda con qualche verità e fiducia:

    Et dubitamus adhuc Romam tibi, Christe, dicatam
    In leges transisse tuas?

  2. Girolamo esulta nella desolazione del Campidoglio e degli altri tempj di Roma (Tom. I. p. 54. Tom. II. p. 95).
  3. Libanio (Orat. pro Templis p. 10. Genev. 1634 pubblicata da Giacomo Gotofredo, e adesso molto rara) accusa Valentiniano e Valente d’aver proibito i sacrifizi. Può l’Imperatore orientale aver dato qualche ordine particolare: ma vien contraddetta l’idea di qualunque legge generale dal silenzio del Codice e dalla testimonianza dell’Istoria ecclesiastica.